martedì, gennaio 12, 2021

Due cadaveri in fondo alla diga Garcia: potrebbero essere i resti dei Maiorana

La diga “Mario Francese”, la ex “Garcia”

Accanto, una corda e un cubo di cemento. I carabinieri del Ris stanno provando a estrarre il dna dalle ossa ritrovate, per poi confrontarlo con quello degli imprenditori scomparsi nel 2007

di SALVO PALAZZOLO

A metà dicembre, il livello dell'acqua della Diga Garcia - oggi intitolata al giornalista Mario Francese - si è abbassato e sono emersi i resti di due cadaveri, un ammasso di ossa. Erano accanto a una corda e a un cubo di cemento. Si fa strada un'ipotesi fra tante nell'indagine condotta dalla direzione distrettuale antimafia: potrebbero essere i resti degli imprenditori Stefano e Antonio Maiorana, scomparsi il 3 agosto 2007. Ma è ancora presto per trarre conclusioni. Al lavoro ci sono i carabinieri del Ris, che stanno provando ad estrarre il Dna da quanto recuperato.

È un nuovo giallo nel cuore della provincia di Palermo: nell'ottobre 2016, dentro a una foiba scoperta su una montagna che si affaccia sulla diga, erano stati scoperti i resti di 14 persone, fra cui due bambini e una donna. È rimasto un mistero. Le analisi hanno datato le ossa fra le due guerre mondiali e la fine degli anni Settanta. E hanno raccontato anche altro: alcune di quelle persone vennero ammazzate prima di essere seppellite. A colpi di pallettoni. Nella foiba i carabinieri di Monreale erano arrivati dopo la soffiata di un anziano contadino, che voleva levarsi un peso dalla coscienza: "Quel posto l'ho scoperto vent'anni fa - disse - ho sempre avuto paura di parlarne". Trovò il coraggio di farsi avanti due mesi dopo la morte del capomafia della zona, Bartolomeo Cascio, fidatissimo di Riina.

Il Ris ha estratto il Dna dai resti della foiba, sono stati fatti dei confronti con i familiari di alcune vittime della mafia, quelle di cui aveva scritto il cronista del "Giornale di Sicilia" Mario Francese, ucciso il 26 gennaio 1979. Ma non è emerso nulla. Si è anche ipotizzata un'altra pista, legata all'occupazione nazista durante la guerra, i magistrati hanno commissionato delle ricerche storiche. Il mistero è rimasto intatto. Il caso è stato archiviato, i resti sono stati seppelliti in un loculo del cimitero di Roccamena. L'indagine del Ris ricomincia daccapo, sulle ossa ritrovate nel bacino artificiale fra Monreale e Poggioreale. Con una prospettiva diversa però. Perché la corda ritrovata sembrerebbe riportare a un periodo più recente. E, allora, ecco l'ipotesi Maiorana.

Proprio a dicembre, la procura aveva presentato una nuova richiesta di archiviazione dopo ulteriori indagini disposte dal gip Marco Gaeta in seguito all'opposizione della famiglia degli imprenditori. L'ultimo filone dell'inchiesta, coordinato dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca e dal sostituto Roberto Tartaglia (oggi al Dap), aveva ipotizzato non solo due responsabili per la morte dei Maiorana - il costruttore Francesco Paolo Alamia (ormai deceduto) e Giuseppe Di Maggio, figlio del boss di Torretta, Lorenzo - ma anche un possibile movente. Maiorana padre avrebbe ricattato Alamia con un filmino a luci rosse, per fargli cedere le quote di due società che avevano realizzato alcuni immobili a Isola delle Femmine. Le indagini dei carabinieri hanno appurato che ci fu una lite in cantiere. L'auto dei Maiorana venne poi ritrovata nel parcheggio dell'aeroporto "Falcone Borsellino". Una messinscena, per simulare un loro allontanamento. Ora, il mistero torna alla diga Garcia. Il cronista Mario Francese era arrivato fra le montagne un anno prima di essere ucciso, stava indagando sul grande affare della diga, che aveva scatenato gli interessi delle cosche. Il 7 agosto 1977, Francese scriveva questo: "Gli attentati, i morti ammazzati di Roccamena e Corleone, gli scomparsi del circondario, hanno pubblicizzato l'inizio dei lavori". In quell'inchiesta, c'erano già i nomi dei nuovi tiranni di Cosa nostra, i corleonesi Riina e Provenzano. La diga è ormai il simbolo di un pezzo di storia. Forse, chi ha gettato i due corpi nel lago voleva richiamarla quella storia nel caso di un eventuale ritrovamento? Ìl cubo di cemento legato ai piedi evoca antichi rituali criminali, della Palermo anni 60. Ma potrebbe essere davvero solo un'altra messinscena.

La Repubblica Palermo, 12 gennaio 2021

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