mercoledì, dicembre 23, 2020

Beatificazione di Rosario Livatino, la testimonianza dell’ex magistrato Sferlazza

Rosario Livatino

di Ottavio Sferlazza*

Ho appreso con commozione e gioia l’annuncio della beatificazione di Rosario Livatino e per me è un onore ricordarne la nobile figura quando sono trascorsi tre mesi dal 30° anniversario del suo sacrificio in quella scarpata in cui aveva cercato un disperato tentativo di fuga. In quella scarpata, quel giorno, quale sostituto in servizio presso la procura di Caltanissetta, dovetti scendere e sollevare il lenzuolo che pietosamente copriva il volto di Rosario.

Ho avuto il privilegio di conoscerlo e di essergli amico, essendo entrambi della stessa provincia, io di Agrigento lui di Canicattì, ma non ho mai avuto il privilegio di lavorare con lui né di frequentarlo con una certa assiduità perchè fino al 1985 ho lavorato a Trapani e poi a Caltanissetta. Quando mi giunse in ufficio la notizia del suo assassinio rimasi impietrito ed intervenni subito sul posto. Ho diretto le indagini e sostenuto l’accusa nel giudizio di primo grado; per questo voglio qui ricordare e ringraziare anche Pietro Nava, il testimone che, dimostrando altissimo senso civico e coraggio, si recò subito alla Questura di Agrigento a riferire ciò che aveva visto poco prima sulla SS 640 attraverso lo specchietto retrovisore, riconoscendo in un album fotografico il Killer Pace Domenico mentre scavalcava il guard-rail con la pistola in pugno, inseguendo un uomo con la camicia bianca. Pietro Nava, grazie alla sua testimonianza ed al riconoscimento reiterato in sede di formale ricognizione di persona, ha consentito la condanna degli esecutori materiali, ed oggi è costretto a vivere con altre generalità all’estero con tutta la sua famiglia. 


Di Rosario, magistrato integerrimo, raffinato giurista ed uomo di profonda fede, voglio oggi ricordare una sua bellissima riflessione:  “Quando moriremo nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili”. La bellissima conferenza tenuta da Rosario il 7 aprile 1984 su invito del Rotary Club di Canicatti può essere considerata il suo testamento spirituale. La profondità delle sue riflessioni sulla indipendenza ed autonomia della magistratura, sulla esigenza non solo di essere ma anche di apparire indipendenti e credibili, sui rapporti tra magistratura e politica, sulla giurisdizione come servizio e non come potere, sull’esercizio della giurisdizione come atto di umiltà e di amore, ecco io credo che questa profondità e nobiltà di pensiero presentino oggi una straordinaria  attualità e suonino come un monito alle giovani generazioni di magistrati.

In un momento storico in cui la magistratura ha toccato il punto più basso della propria credibilità e legittimazione morale di fronte alla collettività per il vulnus, forse irreparabile, provocato dalle indagini di Perugia su una certa gestione del potere consiliare ed associativo, io credo che il pensiero di Rosario Livatino e le sue riflessioni sulla giurisdizione possano e debbano costituire il patrimonio comune per la rifondazione etica della magistratura associata, per ripartire sulla base di un ritrovato orgoglio di appartenere forse alla più importante istituzione di uno stato costituzionale di diritto e per onorare la memoria di quei tantissimi magistrati, e non solo, che hanno sacrificato la loro vita per difendere la nostra democrazia.   

Nella copertina interna di uno dei libri che mi sono più cari e che custodisco nella mia libreria, “Apologia di Socrate” di Platone ( ed. Bompiani, a cura di Giovanni Reale), è riportata una profonda riflessione del grande scrittore e filosofo Albert Camus:  “Perché un pensiero cambi il mondo, bisogna che cambi prima la vita di colui che lo esprime. Che cambi in esempio”. Io penso che Rosario Livatino, per la coerenza che ne ha contraddistinto la vita professionale e privata, costituisca un esempio per le generazioni future e che le sue idee contribuiranno a cambiare questa nostra meravigliosa Sicilia ed il nostro meraviglioso paese.  

Al bellissimo libro della prof.ssa Ida Abate, dedicato alla nobile figura di Rosario, è stato dato il titolo “il piccolo Giudice”, mutuandolo dall’appellativo che Leonardo Sciascia aveva dato al protagonista di un suo romanzo “Porte Aperte”,  in cui narra la storia di un magistrato del periodo fascista che si rifiutò d infliggere la pena di morte, perché era contrario a tale sanzione ad un imputato reo confesso, che aveva ucciso anche un gerarca fascista posto a capo dell’ufficio da quale era stato licenziato per far posto ad un altro. Sciascia spiegò: “Mi è venuto di chiamarlo il piccolo giudice non perché fosse notevolmente piccolo di statura ma per una impressione che di lui mi è rimasta da quando per la prima volta l’ho visto. Il dirlo piccolo mi è parso che ne misurasse la grandezza: per le cose tanto più forti di lui che aveva serenamente affrontato”.

Quando sollevai quel lenzuolo, mentre mi tremava la mano, pensai: qui giace il corpo di un grande magistrato e di un grande uomo, un uomo giusto. La sua beatificazione è il doveroso riconoscimento ad un uomo di  profonda fede che ha onorato la toga con grande professionalità, indipendenza ed autonomia ma, soprattutto, con profonda umanità.       


https://www.quellochenonho.news, 23 Dic 2020


*Ottavio Sferlazza, magistrato in pensione

Nessun commento: