martedì, ottobre 27, 2020

Le porcate contro Nino Di Matteo reintegrato nel pool stragi

Saverio Lodato

SAVERIO LODATO
Nino Di Matteo riabilitato, che si vede restituire il maltolto e l’onore, e al quale il tempo, ancora una volta, ha dato ragione. Può tornare in qualsiasi momento a lavorare in quel gruppo denominato “Mafie ed entità esterne nelle stragi e altri delitti” della Procura nazionale antimafia, dal quale era stato sbattuto fuori. 
Quasi da non crederci. Silenzio assoluto dei giornali e delle tv sull’intera vicenda. Gli italiani non lo sanno e non lo devono sapere.

Ma che brutta fine hanno fatto i denigratori di Nino Di MatteoNon ne fanno e non ne dicono una giusta. Pur sparando da anni contro di lui a pallettoni, se lo ritrovano sempre davanti, tutto d’un pezzo, insensibile a calunnie e volgarità, falsità, travisamenti, invenzioni di sana pianta sul suo conto. E indifferente persino a quelle che sono autentiche porcate - ci sia consentita l’espressione alquanto ruvida - nei suoi confronti. Porcate fatte, e porcate scritte. 

Bene. Tutto ciò premesso, oggi è trascorso esattamente un mese e un giorno da quando Nino Di Matteo è stato reintegrato a pieno titolo nel gruppo di lavoro della Procura nazionale antimafia. Gruppo di lavoro - alcuni lo ricorderanno - dal quale era stato espulso (20 maggio 2019) dal procuratore Federico Cafiero de Raho all’indomani della sua partecipazione, del Di Matteo, ad una puntata di Atlantide(18 maggio 2019), diretta da Andrea Purgatori e dedicata all’anniversario della strage di Capaci. 
Motivazione, a suo tempo, di de Raho: quelle dichiarazioni ad Atlantide “hanno fatto venir meno la fiducia verso Di Matteo da parte degli altri componenti del gruppo di lavoro e delle Procure distrettuali interessate”.
Un provvedimento che aveva provocato gli applausi scroscianti dei denigratori di Di Matteo, gli stessi che ora stanno facendo una fine miserabile. Terrorizzati com’erano (poi sarebbe bello conoscere la ragione vera di questo terrore) che Di Matteo fosse stato inserito in un gruppo di lavoro tanto delicato, con il suo allontanamento avevano preso un autentico terno al lotto. Ma Di Matteo, armato di santa pazienza, di carta e di penna, aveva svolto le sue osservazioni - in pratica un ricorso -, inviandole al Csm, alla settima commissione (che si occupa del controllo e della legittimità dei provvedimenti interni agli uffici giudiziari), sostenendo che il provvedimento che lo riguardava era “ingiustificato e immotivato nella sostanza, e non adottato secondo le procedure formali previste”. 
In parole povere, questo il succo, Di Matteo si considerava non colpevole degli addebiti, essendosi limitato - nella sua intervista - a mettere in fila tutti gli elementi già consacrati in atti processuali non più coperti da segreto e quindi pubblici. Il 23 settembre di quest’anno la settima commissione aveva messo in calendario la discussione per la decisione finale. 
Il Csm si sarebbe cioè pronunciato sulla legittimità o meno del provvedimento di espulsione firmato de Raho. Ma non ce n’è stato alcun bisogno. Il procuratore nazionale antimafia, la mattina del 23, ha fatto pervenire la revoca del suo provvedimento, in data 20 maggio 2019, “con effetto pienamente ripristinatorio”. Motivazione, oggi, di de Raho: “Considerato il tempo decorso dall’adozione del provvedimento ... considerata l’esigenza di evitare al Csm aggravi procedimentali e decisionali, in un momento particolarmente delicato per la salvaguardia delle funzioni e della immagini della magistratura…”. La settima commissione, ha preso atto e deliberato, a sua volta il non luogo a provvedere in ordine all’originario decreto di espulsione di Di Matteo. Sin qui i fatti. 
Qualche considerazione però si impone. Intanto Di Matteo può ritornare in qualsiasi momento a lavorare con quell’incarico della discordia alla Procura nazionale. E non vorremmo essere nei panni dei suoi denigratori: meglio un Di Matteo al Csm, o un Di Matteo che indaga su “entità esterne” alle stragi? Ardua sentenza per i miserabili. Lasciamo loro l’incombenza di farsene una ragione. Certo. La recente deposizione della guardia penitenziaria Pietro Riggio, al processo di secondo grado sulla trattativa Stato-Mafia, in corso a Palermo, annuncia nuvoloni e burrasche per coloro che, sin dall’inizio, definirono questo processo, una “boiata pazzesca”. Era anche di Riggio che si stava occupando il gruppo di lavoro dal quale fu espulso Di Matteo? 
Non conosciamo la risposta. Ma colpisce che i grandi giornali della dichiarazione di Riggio (letteralmente devastante sotto diversi profili) - riportata da ANTIMAFIADuemila - non hanno pubblicato una sola parola.  Di Matteo invece, in questi giorni, è su tutti i giornali perché “reo”, secondo molti, di aver consumato tradimento nei confronti del collega Piercamillo Davigo, bocciato dal Csm nella sua richiesta di volere restare, anche da pensionato, nell’organismo di autogoverno dei giudici. 
Insomma, della serie: le porcate non finiscono mai.

Antimafiaduemila, 24 Ottobre 2020


Foto originale © Paolo Bassani 

saverio.lodato@virgilio.it

La rubrica di Saverio Lodato

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