lunedì, agosto 17, 2020

La storia di un grande albero a Palermo

Palermo, il Giardino Garibaldi
di GIUSEPPE BARBERA
Gli anni alla metà dell’Ottocento sono quelli più felici per l’affermazione del mito di Palermo città verde, ricca di alberi esotici e di giardini, circondata dalla Conca d’oro. Nel 1855 nasce la Deputazione delle Ville Comunali. Preceduta dalla realizzazione del giardino “all’inglese”, accompagna l’apertura al pubblico della Favorita, il fervore degli agrumeti che guardano ai mercati internazionali. Il momento del Piano della Marina, dove ancora ristagnavano le acque, pascolavano le capre, si tenevano giostre e feste e si alzavano forche, arriva nel 1864. Al recupero concorrono il vivaista Besson, G.B.F. Basile e l’Orto universitario. Tra gli alberi, con il nome di Ficus nervosa, si trapianta la specie che diventerà la più illustre. E’ probabile che sia giunta, attraverso l’Orto Botanico, da un vivaio del sud della Francia che l’aveva importata dalle isole Howe nel Pacifico.

Nel 1897, viene battezzata magnoliodes per la somiglianza delle foglie con la Magnolia e, nel 1996, dai botanici Fici e Raimondo, macrophylla (per le grandi foglie), sottospecie columnaris a indicare lo straordinario modo di accrescersi attraverso radici aeree che s’infiggono al suolo e sorreggono la chioma. L’albero è un epifita; si insedia su altre piante o su architetture di pietra, cresce verso il basso e le ingloba. Noto come “albero strangolatore … è impossibile sapere da dove viene e dove va”, osservava un botanico australiano. Nei giardini palermitani sorprende progettisti e giardinieri, ingloba panchine e decori, soffoca le altre piante. Scriverà Sciascia nel 1988, accompagnando un disegno di Bruno Caruso: “Ho visto sempre il ficus come una specie di mostro arboreo... Un pauroso emblema della violenza e dell'imprevedibilità della natura; forse anche perché a Palermo, in piazza Marina, sta a fronte di quel palazzo in cui tragiche memorie si assommano dell'umana violenza; la violenza dell'anarchia baronale, la violenza del Sant'Uffizio dell'Inquisizione, la violenza dell'amministrazione della giustizia del regno d'Italia”. Bonaventura Tecchi, nell’ “Isola appassionata” vi riconosce qualcosa di animalesco (serpente, coccodrillo, rinoceronte) e Fernando Aramburo, in un articolo su “El Mundo” del 2018, lo mette al pari – in quanto “zio carnale” – di un esemplare di Buenos Aires che non ha radici aeree e si serve di una scultura che rappresenta Atlante che regge sulle spalle non il mondo ma una branca; il che non garantendo elasticità alla struttura, peggiora, piuttosto che migliorare, la stabilità. Pochi giorni fa, su RAI Radio tre, Giorgio Vasta ha detto delle radici che inglobano il visibile e l’invisibile. A Palermo la strada scelta, per proteggere albero e cittadini da schianti che si presentano naturali e improvvisi, è quella di favorire lo sviluppo delle radici colonnari e gestire la chioma con potature mirate che non possono essere fatte che da tree climbers: arrampicatori/arboricoltori esperti come già avvenne nel 2010, quando furono preceduti da uno studio che si servì (per alberi eccezionali, attenzioni eccezionali) di droni e laser scanner. La recente provvisoria passerella è utile a proteggere le radici ma anche a permettere una adeguata vista della magnificente architettura vegetale che, già nel 1907, era “oggetto di viva ispirazione massiccia da parte dei forestieri”.

Il Ficus è un autorevole patriarca verde. Se non l’età, la sua imponenza e l’immaginario che ha sollecitato rimandano alla antica sacralità degli alberi, alla loro autonomia dagli uomini che possono studiarli, prendersene cura ma non dominarli. Proprio di un Ficus, Emilio Salgari, ne “I misteri della Giungla nera”, osserva come “forma una foresta sostenuta da centinaia e centinaia di bizzarri colonnati, sotto i quali i sacerdoti di Brahma collocano i loro idoli”. Sotto uno di essi Siddharta ha raggiunto l’illuminazione ed è diventato il Buddha. Per gli induisti è sacro il bengalensis le cui radici colonnari rappresentano l’immortalità e simile compito ha il ficus che cresce sotto la casa che fu di Giovanni Falcone ed è divenuto il nostro albero sacro. Che adesso, con l’avvertimento dell’impressionante schianto, torni a indicare vie verdi, anzi green, al futuro della città è un auspicio.

 

Il testo è apparso su Repubblica del 15.8. Molte altre informazioni sui primi anni del Ficus si trovano in G. Fatta, Piazza Marina a Palermo. Memorie di Cronaca cittadina, Edizioni Caracol 2019 e G. Barbera e C. Fusten, Sulle tracce di Villa Garibaldi, PER, 47, 2017

 

Nessun commento: