domenica, aprile 26, 2020

Il personaggio. Ignazio Marino: "Il Covid riscatta i cliché sulla Sicilia"


di EMANUELE LAURIA 
«I luoghi comuni sulla Sicilia sono stati sbaragliati dall’evidenza dei numeri». Con pragmatismo americano, l’americano Ignazio Marino racconta la lezione che l’Isola ha impartito in uno dei momenti più drammatici della storia recente. Da Filadelfia, il cardiochirurgo che oggi è vicepresidente della Thomas Jefferson University dopo l’esperienza in Parlamento e alla guida del Comune di Roma, torna a parlare della Sicilia non lesinando apprezzamenti per le «scelte illuminate» fatte da chi governa il sistema sanitario, e per le best practices di amministratori e cittadini che hanno limitato il diffondersi dell’epidemia ma anche ribaltato, da Sud verso Nord, il concetto di solidarietà nazionale. Ma la leva della memoria solleva ricordi commossi, dalle estati da ragazzo profumate dai gelsomini di Stazzo, frazione di Acireale, all’esperienza da pioniere all’Ismett, dal grande rapporto con il cardinale Pappalardo segnato da lunghe telefonate alle quattro del mattino a quello con il sindaco Orlando «che mi inserì di diritto nel suo personale repertorio dei pazzi». È un veloce viaggio all’incontrario fatto sfiorando appena le delusioni del Campidoglio. Una dedica accorata alla Sicilia, sua terra adottiva, con il puntiglio dello scienziato che manda le risposte nella notte statunitense e precisa: «Mi raccomando, non cambi una virgola».

Professore Marino, oggi lei lavora negli States, dopo la lunga e sofferta parentesi politica. Cosa ricorda con maggior piacere e cosa con disappunto della sua esperienza siciliana?
«I ricordi più cari sono legati alle persone. Il direttore amministrativo del Civico, Giovanni Giannobile, determinante nel fondare l’Ismett, gli infermieri che selezionai, donne e uomini straordinari e, soprattutto, i pazienti. Il contatto non si è mai interrotto. Alcuni vennero a trovarmi in Campidoglio e tutti continuano a sottopormi le loro analisi. Una bimba che subì un trauma espatico terribile oggi è una giovane donna che spesso mi chiede consigli. Un’adolescente moribonda per una devastante emorragia, che riuscii a salvare con un intervento al fegato più complesso di un trapianto, oggi è un avvocato madre di due bimbe. Una ragazza che trapiantai due volte di fegato tutt’oggi mi invia, ogni anno, le sue arance. E come dimenticare il contadino settantacinquenne di Caltabellotta? Mesi dopo l’intervento si ripresentò con una bottiglia del suo olio. Quel tipo di riconoscenza è un privilegio raro, impagabile. Non ho ricordi brutti. Ho una memoria selettiva e non ricordo nulla che causi disappunto o dolore».
Che rapporto ha oggi con la Sicilia? Le capita di tornarci?
«Da bambino trascorrevo l’estate a Stazzo. La domenica sera la nonna mi dava il gelo di melone preparato con i fiori di gelsomino. Quel gelsomino esiste ancora e ha un tronco grande come un albero. Se chiudo gli occhi ne percepisco il profumo. E il mare: i suoi colori, il suono delle onde, per me nato a Genova era un tripudio di armonia. Ricordo la tristezza che mi avvolgeva quando dovevo salire sul treno per tornare in Liguria, una terra che adoro ma che in quei momenti rappresentava la separazione dalla Sicilia. Peccato che oggi non abbia la possibilità di trascorrere estati così».
Qual è la figura siciliana alla quale rimane maggiormente legato?
«Senza dubbio il cardinale Salvatore Pappalardo. Un uomo e un sacerdote straordinario. Quando lasciai Palermo mi regalò lo scrittoio rosso che aveva utilizzato nella Cappella Sistina durante il secondo Conclave del 1978. Ci infilò dentro una lettera scritta su un ritaglio di carta assorbente. Cose antiche, vero? Lo utilizzo ancora oggi. E poi la mia amicizia con Leoluca Orlando: siamo diversi ma anche molto simili e mi onora essere annoverato nel suo personale "Repertorio dei pazzi di Palermo". Senza di essi l’Ismett non sarebbe nato. E ancora mi piace ricordare il forte legame nato a Palermo con due uomini che ammiro moltissimo: Giancarlo Caselli e il generale Roberto Jucci».
Nel periodo della sua presenza in Sicilia, l’Ismett si impose come punta d’eccellenza della sanità non solo isolana. Negli anni successivi, secondo lei, quella fama si è consolidata?
«Fondai l’Ismett con l’ambizione di realizzare un centro di eccellenza e una guida innovativa per l’Italia. Molti ricordano le polemiche quando nel luglio 2001 trapiantai, per la prima volta, un paziente Hiv positivo. L’Italia dovette cambiare le norme e riconoscere scientificamente corretto trapiantare i sieropositivi. Eravamo una squadra piccola ma affiatata, con Aldo Doria, Salvo Gruttadauria, Augusto Lauro e il miglior anestesista cha abbia incontrato nella vita, Victor Scott. Tutti professionisti straordinari, a cominciare da Aldo, oggi uno dei migliori chirurghi degli Stati Uniti. L’Ismett resta un centro di eccellenza e spero che quello spirito sia rimasto».
L’emergenza Covid ha investito anche la Sicilia, seppur fortunatamente in modo meno pesante rispetto ad altre regioni, soprattutto del Nord. Si è fatta un’idea sul perché di questa diversa diffusione del virus?
«Non ho una risposta unica: si tratta di diversi fattori. Trascorsa la fase emergenziale della pandemia, la letteratura scientifica sarà ricca di analisi dalle quali trarre utili lezioni.
Dal punto di vista scientifico e della salute pubblica in Sicilia sono state fatte scelte illuminate, come dedicare alcune strutture esclusivamente ai pazienti Covid-19, limitando il contagio e concentrando le risorse».
Il contagio non è dilagato malgrado il temuto ritorno di trentamila "emigrati", studenti e lavoratori, tenuti poi nell’Isola a rispettare la quarantena. E nell’Isola, al di là di qualche episodio folkloristico, sono stati rispettati divieti anche più rigidi di altre regioni. Qualcuno si è detto stupito che dal Sud sia giunta questa lezione. Lo è anche lei?
«Il merito è dei siciliani che hanno risposto con grande responsabilità adottando tutte le necessarie misure di distanziamento sociale. I luoghi comuni sul Sud sono stati sbaragliati dall’evidenza dei numeri».
In Sicilia sono stati ospitati e guariti pazienti gravi giunti dalla Lombardia. È un segnale capovolto della solidarietà nazionale o la prova di una inattesa efficienza della tanto bistrattata sanità isolana?
«Certamente è prova di generosa solidarietà: caratteristica dei siciliani. Ma soprattutto la dimostrazione del valore dell’articolo 32 della Costituzione che garantisce cure a tutti sul territorio nazionale. All’inizio dell’epidemia negli Usa alcuni Stati rifiutarono il trasferimento dalla rianimazione di donne in gravidanza, e intubate, provenienti da altri Stati. Situazioni isolate ma che fanno riflettere sul valore del Servizio sanitario nazionale italiano. È un concetto non popolare nelle amministrazioni delle Regioni italiane, ma la frammentazione dell’assistenza sanitaria voluta dal Parlamento nel 2001 deve essere cancellata».
Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime settimane dall’emergenza Covid? Alcuni scienziati sostengono che un eventuale dilagare dell’infezione in Africa possa coinvolgere anche i paesi che si affacciano sull’altra sponda del Mediterraneo. È una preoccupazione che condivide?
«Previsione drammatica ma possibile».
In ultimo, professore, cosa le manca dell’Italia e della Sicilia? C’è qualcosa che rimpiange anche di un’esperienza politica finita per lei nel modo più doloroso, con la bufera sulle spese di rappresentanza che ha causato la sua decadenza da sindaco di Roma? L’assoluzione della Cassazione per quelle vicende la considera un giusto riscatto?
«Oggi sono tornato negli Stati Uniti ma l’Italia resta il Paese in cui sono cresciuto. Ho affetti importantissimi, che mi mancano. Mi manca anche ciò che non sono riuscito a concludere.
Ma amo Philadelphia e la mia professione. Ho sempre apprezzato l’etica del lavoro, la meritocrazia e lo spirito di squadra dell’ambiente accademico americano. Non mi manca, invece, certa politica italiana. Quella che considera il potere un sostantivo e non come un verbo, poter fare, poter cambiare. Ho sempre agito eticamente. La decisione della Cassazione che ha dichiarato "infondate e fantasiose" le indagini nei miei confronti, mi ha fatto piacere ma non cancella anni di sofferenza per la mia famiglia, i miei amici e i miei collaboratori. Questa vicenda è adesso narrata in un documentario di Francesco Cordio, Roma Golpe Capitale, che Own Air propone gratuitamente sulla piattaforma Vimeo. Però per me la vita non è mai quella di ieri, forse nemmeno quella di oggi. È sempre domani. E domani andrà ancora meglio. Ne sono certo».
La Repubblica Palermo, 26 aprile 2020

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