mercoledì, gennaio 22, 2020

La santificazione di Craxi e Pansa è un insulto alla Costituzione repubblicana


di PAOLO FLORES D’ARCAIS
La santificazione concomitante e parallela di Bettino Craxi e Giampaolo Pansa segna la vittoria completa di Tangentopoli su Mani Pulite e della Costituzione materiale partitocratico-affaristica sulla Costituzione Repubblicana nata dalla Resistenza antifascista.
In realtà la guerra dell’establishment contro la rivoluzione della legalità tentata da Mani Pulite iniziò quasi subito, quando le tv di Berlusconi, che per un momento avevano svolto un ruolo giornalistico con imparziali cronache di onesta informazione sulle vicende giudiziarie che andavano coinvolgendo l’intero gotha politico e imprenditoriale, diventarono le cannoniere mediatiche della neonata “Forza Italia”, con cui il medesimo Berlusconi si impadroniva di parlamento e governo. Non già l’imprenditore al posto dei politici, come pure si vociferò nel servo encomio, ma il fuorilegge dell’etere locupletato a imprenditore monopolistico da quello stesso Craxi, via “legge Mammì”.


E tuttavia, quella revanche di Tangentopoli contro Mani Pulite, di cui Berlusconi, con Fini e la Lega utili e ricompensati furbi, fu cavaliere e crociato, trovava ostacoli e resistenze, antagonisti e refrattari. Pane per i suoi denti, insomma. Non nella politica, o comunque sempre meno, poiché la speranza dell’Ulivo di Prodi svanì con la nomina del suo Flick a ministro della Giustizia, la cui prima chanson de geste fu mandare ispettori contro il pool di Borrelli. La speranza da allora sopravvisse come illusione.

Ma visse nella società civile che si manifestò e organizzò in modo autonomo, dal popolo dei fax nel maggio 1993 ai Girotondi nel 2002, continuando con “Il popolo viola”, “Se non ora quando” e le manifestazioni contro le leggi bavaglio, avendo sullo sfondo la colonna sonora e visiva delle trasmissioni di Barbato, Biagi, Santoro d’antan (quello di recenti esternazioni è ormai establishment colato), e anche la parte migliore della carta stampata, con “la Repubblica” spesso punta di diamante del giornalismo-giornalismo, e intellettuali che non temevano di mettere a repentaglio notorietà e privilegi prendendo posizione in quelle lotte, e spesso promuovendole, Bobbio, Galante Garrone, Sylos Labini, Pizzorusso, Giolitti, Visalberghi, Laterza, (nel 1994 per l’ineleggibilità di Berlusconi) Camilleri, Tabucchi, Margherita Hack, Dario Fo, Franca Rame...

Oggi di tanta passione civile, che nel “Resistere, resistere, resistere!” di Francesco Saverio Borrelli all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2002 trovò la sua più alta e quasi unica manifestazione istituzionale, non resta quasi più nulla. E la figlia di Bettino annuncia addirittura che il presidente della Repubblica troverà il modo di mettere il suo sigillo alla santificazione del criminale morto latitante venti anni fa. Perché di questo, secondo l’ordinamento costituzionale, si tratta. Bettino Craxi è stato condannato con sentenze definitive. Sulla base di leggi da lui stesso volute o mantenute, visto che era membro eminentissimo del potere legislativo (oltre che esecutivo). Ma pretendeva che lui e i suoi pari o colleghi, i politici insomma, fossero legibus soluti, potessero violare le leggi che essi stessi facevano e alla cui obbedienza erano invece tenuti i cittadini comuni.

E infatti, nel famoso discorso in parlamento del 3 luglio 1992, Craxi non negò affatto, anzi affermò tonitruante, che nel finanziamento dei partiti esistesse “uno stato di cose che suscita la più viva indignazione, legittimando un vero e proprio allarme sociale e ponendo l’urgenza di una rete di contrasto che riesca ad operare con rapidità e con efficacia. I casi sono della più diversa natura, spesso confinano con il racket malavitoso, e talvolta si presentano con caratteri particolarmente odiosi di immoralità e asocialità”.

La sua difesa fu solo che “tutti sanno”.

Tutti sanno “che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale”. Questi “tutti” non sono naturalmente i cittadini, ma i politici, per cui il discorso di Craxi non approda alla sua logica conseguenza, secondo legge e democrazia: se nessuna “possa alzarsi e pronunciare un giuramento in senso contrario a quanto affermo” allora “gran parte del sistema sarebbe un sistema criminale”, e perciò tutti a casa e una nuova classe dirigente. Bensì, contro logica e democrazia: se tutti criminali nessun criminale, e insomma tutti impuniti, legibus soluti, appunto: tarallucci e vino.

Craxi, condannato, poteva malato venire a farsi curare in Italia. Anche da detenuto non gli sarebbero certo state negate le cure migliori. Ma Craxi pretendeva di essere al di sopra di quella condanna, di essere al di sopra di ciò che come Potere legislativo aveva statuito, perché risibile era stato il tentativo di negare nel processo che gli addebiti fattuali contestatigli non fossero provati. Craxi fu condannato per una mole di prove, testimonianze, riscontri. Per aver commesso quelli che egli stesso, come potere legislativo, aveva qualificato come crimini.

Definire Craxi un criminale acclarato, morto latitante, è semplice descrizione fattuale, se si prende sul serio l’edificio costituzionale che ci rende con-cittadini. Se questa definizione è considerata calunniosa, ingiuriosa, o nel migliore dei casi “obsoleta” e da superare perché divisiva e ingenerosa, è solo perché Mani Pulite (e i pool antimafia) e le macchie di leopardo di magistratura che ancora ne onorano l’esempio, è stato e resta il vero nemico assoluto e l’unica bestia nera dell’establishment (di cui Salvini, che detesta i magistrati-magistrati, è infatti lo Scherano).

Chi oggi vuole santificare Craxi, o semplicemente si rassegna a una riabilitazione, nega la validità dell’ordinamento costituzionale che ha portato alla sua condanna, vuole più che mai due giustizie, una per i cittadini comuni e una per i potenti o “eccellenti”. Vuole che la Costituzione materiale, che ha imperversato sempre più a iniziare dal giorno dopo la promulgazione della Costituzione, faccia aggio fino a cancellarla sulla Costituzione repubblicana approvata il 22 dicembre 1947 da una delle migliori Assemblee rappresentative che le democrazie dell’intero pianeta abbiano mai conosciuto nella loro intera storia.

Quella Costituzione, che dovrebbe ancora essere la nostra, manifesta quasi ad ogni articolo (tranne il famigerato numero 7) il DNA della Resistenza antifascista e dei suoi valori unitari. La Resistenza antifascista è perciò la fonte storica di legittimità della nostra democrazia, la Grundnorm in senso kelseniano, senza la quale viene meno l’intero edificio giuridico del nostro vivere insieme, dello Stato, della Patria.

Contro questa legittimazione storica e morale Pansa ha versato il suo inchiostro da quando ha visto frustrate le sue ambizioni di direzione nel gruppo Repubblica/Espresso (lo adombra con elegante veleno Eugenio Scalfari, con inoppugnabili rimembranze dirette, ricordando Pansa il giorno dopo la morte, ma era vox populi, vox dei). Questo ingaglioffirsi di Pansa ad aedo degli odiatori della Resistenza è stato analizzato e stigmatizzato lucidamente sul sito di MicroMega da Tomaso Montanari, guadagnandosi ovvie sbrodolate d’insulto dal mainstream mediatico, anche con onore di prima pagina, di questi tempi oscuri di revisionismo storico e impalpabilità morale. MicroMega del resto aveva già dettagliatamente ricostruito il carattere falsificatorio e propagandistico dei libri di Pansa contro la Resistenza pubblicando nel gennaio del 2010 un ampio saggio di Angelo d’Orsi. Ne aveva del resto già scritto Sergio Luzzatto sul “Corriere della sera” quattro anni prima [“Perché queste tonnellate di carta copiativa trovano ogni volta un ampio pubblico di lettori, o quanto meno un ampio mercato di acquirenti? … il profilo merceologico del cliente di Pansa coincida con quello del cliente dei volumi di storia di Bruno Vespa (un giornalista che pure, in confronto a Pansa, torreggia come un gigante della storiografia). È un cliente che non sa distinguere fra chi ha credito scientifico e chi non ce l’ha, e per il quale il gesto di comprare un libro prolunga il gesto di fare zapping sul telecomando”], ne aveva puntualmente scritto Giorgio Bocca cui si deve uno dei libri più belli sulla Resistenza, e che prima di scriverne l’aveva fatta, e la lista potrebbe essere per fortuna assai lunga.

Una fortuna che riguarda il passato. Oggi di onestà intellettuale e rigore storico rimangono sempre più solo lacerti. E della passione civile che da Mani Pulite fino ai Girotondi e oltre ha preso sul serio la Costituzione repubblicana restano solo casematte di resistenza. Sarebbe bello pensare che le Sardine annuncino un risveglio di democrazia, capace di mettere di nuovo in mora santificazioni di Craxi, Pansa e consimili degenerazioni etico-politiche, e magari addirittura riaprire una stagione di lotte per giustizia-e-libertà. Staremo a vedere, nel senso che per parte nostra faremo il possibile.
(21 gennaio 2020)

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