venerdì, gennaio 17, 2020

"La mafia temeva Antoci" Ma sul Parco ora è il buio

Giuseppe Antoci

Il procuratore De Lucia replica all’Ars: " Nessun dubbio, l’attentato c’è stato" Il " protocollo" voluto dall’ex presidente si è rivelato un ostacolo per gli imbrogli
di Antonio Fraschilla 
«Forse siamo passati da un eccesso a un altro: dai Nebrodi con i riflettori sempre accesi e trasformati in una specie di meta di pellegrinaggio dell’antimafia gridata, al silenzio e al cono d’ombra di oggi. L’operazione della procura di Messina mette però un punto fermo sulla presenza mafiosa e sulla bontà del protocollo Antoci nella lotta alla criminalità, e da qui non si torna indietro ». Il sindaco di Troina Fabio Venezia, sotto scorta e che già quattro anni fa ha tolto quattromila ettari di terreni pubblici a famiglie in odor di mafia, mantiene sempre un profilo basso e i piedi bene a terra quando c’è da commentare vicende che riguardano questa fetta di Sicilia. E come non amava salire sul carro dell’antimafia pellegrina prima, non vuole gettare «il bambino e l’acqua sporca » per i veleni su quella stagione.

Veleni e silenzi che ruotano tutti attorno alla vicenda di Giuseppe Antoci e agli anni della sua presidenza del Parco dei Nebrodi: è stato lui che ha inventato e lanciato il protocollo che porta il suo nome e che per la prima volta ha inserito l’obbligo della certificazione antimafia per ottenere risorse pubbliche della Ue e non solo. Un protocollo diventato legge e che ha creato molti problemi alle organizzazioni mafiose dei vari Bontempo Scavo, Pruiti e Conti Tanguali. Non a caso al cuore della mega- indagine della procura di Messina del Gico e dei Ros che ieri ha portato all’arresto di 94 persone c’è proprio il protocollo Antoci: per aggirarlo le famiglie mafiose cercavano prestanome e intestavano terreni anche ai morti.
Ma al centro del veleni c’è soprattutto la sera del 17 maggio del 2016, la sera delle pallottole sparate contro la macchina blindata di Antoci e della sua scorta. La commissione regionale Antimafia guidata da Claudio Fava ha da poco votato una relazione che ha avanzato più di un dubbio su quell’attentato, parlando anche di una possibile « messa in scena » e definendo la pista mafiosa «la meno plausibile » . Ieri il procuratore Maurizio de Lucia, a margine della conferenza stampa sugli arresti per le truffe alla Ue, ha voluto ribattere a queste tesi che derubricano i fatti di quella sera al massimo a un atto dimostrativo: « Abbiamo una documentatissima indagine che non ha portato ai responsabili ma certo non ha mai messo in dubbio che l’attentato vi sia stato, dopo di che tra i moventi possibili mi pare evidente che l’azione derivante dal protocollo Antoci sia una ragione che può largamente giustificarlo » , ha detto, ribadendo la pista di mafia.
Il comandante dei Ros, Pasquale Angelosanto, ha rincarato la dose in un’intervista video su LiveSicilia: « Le investigazioni hanno consentito di contestualizzare l’attentato ad Antoci che adotta il protocollo e incide concretamente su questi grumi di interessi mafiosi».
Messaggi che sembrano andare in direzione opposta a quelli lanciati dalla commissione Antimafia di Fava e ribaditi a Sala d’Ercole, davanti al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal capogruppo di Italia Viva Nicola D’Agostino.
Di certo c’è che i veleni hanno portato la politica regionale a far calare il silenzio sui Nebrodi e sul Parco. Nell’arco di due anni si è passati dall’eccesso delle passeggiate e manifestazioni antimafia a ogni piè sospinto di Rosario Crocetta e dell’ex senatore Giuseppe Lumia, alla sordina del governo Musumeci. Il presidente della Regione tra i suoi primi atti ha messo alla porta Antoci, facendo concludere definitivamente la parabola dell’ex presidente del Parco: prima lanciato in orbita, all’indomani dell’attentato, da Matteo Renzi ( che lo nominò responsabile legalità del Pd), poi messo da parte e mai candidato con i dem.
Peccato però che a due anni da questa cacciata il governo Musumeci non abbia ancora nominato un nuovo presidente del Parco: l’ente è retto da un commissario, Gianluca Ferlito, dirigente del Corpo forestale, appena rinviato a giudizio in un’inchiesta sull’affare delle guide sull’Etna con l’accusa di rivelazioni di segreto d’ufficio e corruzione.
Da un eccesso a un altro, i Nebrodi non sembrano poter vivere una stagione di una normalità fatta di atti concreti per migliorare i servizi al territorio e lotta alla mafia. E in questo guado, alla fine, le famiglie che su questi monti da decenni dettano legge provano a rialzare la testa, come dimostra l’indagine di ieri.
La Repubblica Palermo, 16 genn 2020

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