martedì, luglio 16, 2019

Quei cattolici della tradizione che non conoscono l’inquietudine


Il carro di Santa Rosalia
di Rosario Giuè 
Quest’anno il Festino ci ha invitato a guardare a Santa Rosalia, questa figura simbolica, nel segno dell’inquietudine. Rosalia donna inquieta per il dolore del mondo, per le ferite della sua città. Ma i cattolici di Palermo oggi sono inquieti? Vivono l’inquietudine del nostro tempo fino ad assumerne la fatica? Secondo Michele Serra (“L’amaca” del 9 luglio) in Italia per la maggioranza l’essere cattolici è «un omaggio alla tradizione, un’abitudine sociale, un confort identitario». Solo per una «valorosa e nutrita minoranza» di uomini e donne la fede cristiana è «testimonianza di carità». È difficile negare che anche a Palermo l’essere cattolici per la maggioranza non sia qualcosa di più di un omaggio alla tradizione. Segno ne è che spesso, non raramente, le celebrazioni dei sacramenti sono vissute come riti di passaggio sociale, senza il sorgere nella coscienza di alcuna inquietudine, se non quella di fare bella figura. L’essere cattolici, così, è qualcosa da consumare o da “pretendere”.

Questo tipo di cattolicesimo funzionava nel passato ogni volta che le gerarchie volevano difendere l’istituzione ecclesiastica dal nemico: ora la modernità, ora il comunismo. Ma quella forma di cattolicesimo, ogni volta che doveva difendere l’uomo e la donna che non avevano tessere di appartenenza, ha sempre fallito. Ha fallito al tempo del fascismo appoggiandolo, ha mancato nella lotta di liberazione dal potere mafioso con l’indifferenza.
E fallisce anche oggi con la sua assenza, anzi con il suo silenzio-assenso, davanti al rischio di un neo-fascismo. Fallisce con il silenzio-assenso quando la campagna contro i “diversi” e le libertà delle donne è diventata programma di partito al governo. Fallisce con la sua indifferenza davanti all’indebolimento della Costituzione democratica e dello Stato liberale di diritto. In queste occasioni quel cattolicesimo ha mostrato e mostra la sua inconsistenza, la sua non credibilità agli occhi dei giovani e delle ragazze più sensibili.
Quel cattolicesimo maggioritario oggi non è nemmeno più buono per “difendere” il Papa. Anzi, un Papa che s’inquieta per le sorti dell’uomo e della donna divenuti gli «scarti» della società e della politica, a quel cattolicesimo dà fastidio. Un Papa che afferma che la Chiesa a un ferito non deve chiedere «se ha il colesterolo e gli zuccheri alti» e che, invece, deve chinarsi su di lui a «curare le ferite», disturba.
Ma il problema sollevato da Serra non viene tanto, credo, da quanti usano il cattolicesimo come religione civile. Il problema è prima di tutto della e nella comunità ecclesiale che si lascia usare, nella speranza che “qualcosa rimarrà”. Questo è il nostro peccato. È il peccato di una «Chiesa stanca» (Carlo Maria Martini).
In questo contesto, se un parroco inquieto ci mette la faccia e, per esempio, nell’omelia commenta il Vangelo parlando di com-passione, di cura, di responsabilità profetica per i poveri, per i diversi, per gli stranieri, può accadere che molti di quei cattolici “civili” si sentano disturbati perché quel prete «fa politica». Preferiscono la narrazione del politico con il rosario in mano o il parroco che ripete una dottrina neutrale e fa il prete in sacrestia.
Il rischio delle comunità ecclesiali, in Italia e a Palermo, è quello di limitarsi a seppellire i residui culturali della cristianità, dimenticando il detto di Gesù: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti» (Luca 8,21).
Forse occorrerà dedicare più tempo ed energie nel compito faticoso di formare le coscienze al rischio evangelico, senza contentarsi di alimentare il tranquillo devozionalismo che, certo, fa numero. Del resto Rosalia non era una “legione”, era una persona. L’inquietudine di Rosalia, rappresentata oggi dalla capitana Carola, è destinata a restare un’inquietudine di minoranza? Ma ciò non è necessariamente un male, forse è un’opportunità a partire dalla quale guardare con occhi lucidi il futuro dell’essere Chiesa nel mondo attuale.
La Repubblica Palermo, 16 luglio 2019

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