giovedì, luglio 25, 2019

Le istituzioni sostituite. Parlamento? No, Facebook

L'aula del Senato

di Lavinia Rivara
Prima dei Tg della sera a network unificati, cioè in diretta Facebook e quasi in sincrono, Matteo Salvini, Luigi Di Maio e purtroppo anche Matteo Renzi si connettono con i loro follower. Il genere ormai è noto, il comizio su Internet, strumento principe della propaganda politica dei giorni nostri. È questa ormai, insieme a Twitter, la nuova Terza Camera della Repubblica che ha soppiantato anche Porta a porta. Ma forse mai come ieri la fuga dal Parlamento è stata così evidente. È andata così: per diverse ore il premier Giuseppe Conte ha affrontato le turbolente aule di Montecitorio e Palazzo Madama, sottoponendosi a interruzioni, proteste e soprattutto domande, formulate da chi, Costituzione alla mano, rappresenta il popolo italiano. Accanto a lui appena un paio di ministri. Nessun leader politico ha preso la parola. Aspettavano tutti di andare sulla rete. A sera infatti ecco i tre i tribuni digitali distillare su Facebook, uno dopo l’altro, la propria verità accompagnati un diluvio di like, cuoricini e faccine adoranti.

Ovviamente non c’è nessuno che possa alzarsi e andarsene, come hanno fatto ieri senatori 5Stelle mentre parlava in aula Conte. Nessuno che possa interrompere, o porre qualche interrogativo scomodo a cui si ha il dovere di rispondere, magari rischiando anche la poltrona.
Il vicepremier Di Maio non si è fatto proprio vedere a Palazzo Madama accanto al capo del governo, ma si è presentato su Internet per spiegare che i suoi senatori hanno lasciato l’aula non per protestare contro il premier che c’era, ma contro Salvini che non vuole andarci.
Chissà perché però non ha voluto esserci neanche lui per spiegare tutto questo direttamente in Parlamento.
L’intervento di Renzi in aula invece era atteso. Anzi l’aveva annunciato lui stesso prima ancora che l’assemblea dei senatori dem, convocata apposta, potesse decidere chi e come doveva parlare a nome del gruppo.
La cosa aveva provocato qualche malumore e così l’ex premier ieri ha platealmente rinunciato: per non dividersi anche su questo, ha spiegato. Tanto «ci vediamo stasera alle 19 su Facebook». Che poi in realtà a furia di andare sui social ci si divide di più. Zingaretti l’ha capito e proprio ieri ha rivolto un accorato appello ai dem: basta con i tweet polemici che alimentano i litigi, «i cellulari usateli per telefonare».
Ma il principe dei social network resta Salvini. Sono due settimane che non solo l’opposizione ma anche i suoi alleati di governo chiedono al ministro dell’Interno di andare in Parlamento e spiegare come mai il 18 ottobre all’hotel Metropol di Mosca il suo ex portavoce trattava una partita di petrolio per far arrivare un bel po’ di soldi nelle casse della Lega. E sono due settimane che colui che dovrebbe tutelare la sicurezza e l’ordinamento democratico della nazione va dappertutto tranne che nelle aule parlamentari a rispondere di questo. Anzi ieri ha lasciato che a prendere la parola al suo posto di fronte al Senato fosse il presidente del Consiglio, al quale peraltro non ha voluto neanche fornire gli elementi per rispondere compiutamente. Poi anche il leader leghista si è manifestato su Facebook, a parlare di Tav, pedemontana e migranti, a dire che mentre lui sbloccava i cantieri, in Senato si parlava di «aria fritta». Testuale.
Non siamo molto lontani dall’aula "sorda e grigia" di mussoliniana memoria.
La Repubblica, 25 luglio 2019

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