martedì, luglio 09, 2019

Intervista al segretario generale della Cgil. Landini: "Per un fisco più giusto, meno tasse ai lavoratori dipendenti"


di Marco Patucchi
«È stato importante evitare la procedura d’infrazione, perché l’avrebbe pagata la nostra gente». Maurizio Landini usa spesso quel concetto nel suo intercalare: «La nostra gente». Però ci tiene a spiegarlo, a chiarire che non ha alcuna connotazione di appartenenza politica, sindacale o di altro tipo: «La nostra gente sono tutti quelli che cercano lavoro o che il lavoro già ce l’hanno e chiedono il rispetto dei diritti. Insomma la dignità». Per il leader della Cgil, dunque, l’archiviazione della procedura Ue è una buona notizia. Ma niente di più. «In fondo la Commissione ci ha solo rimandato ad ottobre, perché i problemi strutturali del Paese, dalla mancata crescita all’evasione, dalla disoccupazione alla politica industriale, restano irrisolti. Senza contare la figura che abbiamo fatto…».
A cosa si riferisce?

«Al fatto che i nostri politici battono i pugni sul tavolo quando sono in Tv, ma poi in Europa prevale la logica dell’ austerità. Se si vuole migliorare l’Unione, se si vuole riformarla davvero, bisogna farlo alleandosi con altri Paesi e risolvendo una volta per tutte i problemi strutturali di cui dicevo. Ad esempio, va bene chiedere di scomputare gli investimenti dal perimetro dei conti pubblici, ma intanto predisponiamo un piano straordinario di investimenti».
Il ministro Tria minimizza la portata dell’assestamento di bilancio. Eppure sembra una vera manovra correttiva.
«La si può chiamare come si vuole, ma in sostanza è una correzione di conti che non tornavano rispetto a quelli accettati dallo stesso governo lo scorso dicembre».
Tria, come tanti altri ministri del Tesoro nella storia della Repubblica, confida per la prossima manovra nella lotta all’evasione. Perché dovremmo credere a questa promessa?
«Guardi, noi riteniamo che l’unico modo per combattere davvero l’evasione fiscale sia agire contemporaneamente con tre semplici interventi: nuove, massicce assunzioni all’Agenzia delle entrate, non generiche ma di professionalità specifiche che sappia manovrare i dati. Poi un piano di utilizzo di questi dati per una lotta preventiva e non a posteriori. Infine una drastica limitazione del contante, tracciando tutto il tracciabile».
Mentre la Lega insiste per la Flat tax, Tria promette di abbassare le tasse alle classi medie. Non le sembra una contraddizione?
«Nel governo dovrebbero mettersi d’accordo su cosa vogliono. Io rispondo con i numeri: l’85% del gettito Irpef arriva dai lavoratori dipendenti e dai pensionati, l’80% di questi sono sotto i 28mila euro di reddito, un terzo delle entrate riguarda la fascia tra i 28mila e i 50mila. Quindi occorre abbassare le tasse a chi le paga davvero, aumentando, come Cgil, Cisl e Uil stanno chiedendo, le detrazioni per il lavoro dipendente. D’altro canto la tassazione media sui lavoratori è intorno al 40%, quella su rendite e capitali non supera il 26% e Bankitalia ci dice che la ricchezza patrimoniale complessiva vale otto volte il Pil. Ognuno deve dare in base alla propria capacità contributiva, non solo in base al reddito. È una questione di giustizia sociale e di rispetto della Costituzione».
Insomma, paghino di più i ricchi…
«Un Paese che si rilancia attraverso gli investimenti e con un sistema fiscale più equo, tutela meglio il patrimonio di tutti. Ricchi compresi».
Tria dice anche che la prossima manovra beneficerà di ulteriori risparmi previsti su Quota 100 e Reddito di cittadinanza. In pratica sancisce il fallimento delle misure "bandiera" di Lega e M5s.
«Più che Tria sono i numeri a dirlo. L’impatto delle due misure sulla crescita si è fermato allo 0,2%.
Evidentemente il Paese ha bisogno anche di altro, non necessariamente alternativo alla sacrosanta lotta alla povertà. Penso soprattutto agli investimenti nei servizi sociali, dalla scuola alla sanità e alla ricerca, e poi quelli nella manutenzione del territorio e in una vera politica industriale che accompagni il passaggio a una produzione ambientalmente sostenibile. Infine investimenti nella cultura, nel turismo e, invece di chiudere i porti, nella logistica».
A proposito di porti chiusi, il vicepremier Salvini ha convocato le parti sociali al Viminale. Non le sembra irrituale?
«La cultura sindacale nella quale sono cresciuto mi ha insegnato che quando il governo convoca, bisogna andare perché è la controparte con la quale confrontarsi, avanzare richieste, provando a portare a casa risultati. Insieme a Cisl e Uil abbiamo già incontrato il premier Conte e il vice Di Maio che si sono impegnati a definire un calendario di incontri a Palazzo Chigi. Vedremo di cosa ci vuole parlare Salvini e a nome di quale governo. Comunque le garantisco che a Salvini ribadiremo il no alla politica dei porti chiusi e alla logica pericolosa per la democrazia sottintesa al decreto sicurezza».
Il governo ha festeggiato gli ultimi dati Istat sull’occupazione. Legittimo?
«Sono numeri positivi, certo. Ma inviterei il governo ad analizzarli oltre che a commentarli: le ore lavorate sono molto inferiori rispetto al 2008, c’è un forte aumento del part-time involontario, più di 100mila italiani sono emigrati nell’ultimo anno. È la qualità dell’occupazione e dei salari che sta peggiorando drasticamente».
La Repubblica, 9 luglio 2019

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