domenica, gennaio 27, 2019

Il fenomeno Siracusa dopo Palermo: il ritorno dei lenzuoli, "La società civile si sveglia"


TULLIO FILIPPONE
La solidarietà ai migranti della Sea Watch richiama il gesto del ’92: "Ci sono tante analogie"
«Con le lenzuola i siciliani hanno rialzato la testa dopo le stragi mafiose. Adesso, come nel ’92, possiamo stenderle sui balconi per non essere complici delle stragi mare e del clima di odio». C’è un filo conduttore, una pellicola già vista, che lega le lenzuola immacolate, che recitavano "silenzio è mafia", all’appello dei balconi siracusani a lasciare sbarcare donne e bambini della Sea Watch, bloccati in rada a largo della città aretusea.

Ai protagonisti della stagione del "comitato dei lenzuoli" delle stragi di Capaci e di via D’Amelio, l’esortazione disperata di corso Umberto a Siracusa, ricorda i tessuti bianchi sventolati dai balconi della Palermo ferita dalla mafia.
«Oggi come allora — dice la scrittrice Beatrice Monroy, che era nel primo nucleo ristretto — ci sentiamo imprigionati. Nel 1992 c’era un popolo che era ostaggio passivo del piombo mafioso, oggi c’è una società che assiste impotente a scelte politiche che dimenticano l’umanità e, allo stesso tempo, ci sono uomini, donne e bambini tenuti prigionieri in una nave». E già qualcuno come Valeria Ajovalasit lancia un’iniziativa a Palermo: «Ci sono tante analogie con quel gesto simbolico geniale lanciato da Giuliana Saladino nel ’92, spero che questo movimento non resti solo a Siracusa, ma si estenda al resto della Sicilia, come presidente di Arcidonna lancio un appello a tutte le persone che si oppongono alle scelte fasciste del ministro degli Interni affinché espongano le lenzuola».
A Palermo, le lenzuola per i migranti erano già apparse davanti al teatro Massimo, con un j’accuse più rabbioso, all’indomani del naufragio del 3 ottobre 2013 di Lampedusa, madre di tutte le stragi del mare, che inghiottì 368 vite umane.
Coprivano dei finti corpi senza vita e lanciavano il messaggio "Sangue Nostrum", in polemica con il programma europeo di salvataggio. E poco più di due anni fa, mentre in Parlamento si discuteva della legge sullo ius soli, alcuni giovani figli d’Italia senza passaporto si avvolgevano in lenzuoli bianchi per chiedere la cittadinanza negata. Ma adesso, per chi ha vissuto la stagione dei lenzuoli negli anni Novanta, a partire dalla stanzetta dove Giuliana Saladino e sua figlia Marta convocarono i "primi ribelli", vederle sventolare sui balconi di Siracusa è un altro «risveglio della società civile».
«Questo gesto può avere lo stesso impatto simbolico prorompente che ebbe l’iniziativa del comitato — dice Roberto Alajmo, che nel 2012, vent’anni dopo, a quell’esperienza, dedicò il libro "Un lenzuolo contro la mafia" — nel 1992 chi esponeva un lenzuolo contro la mafia aveva quasi la sensazione di essere in minoranza, anche se in realtà, come poi dimostrò l’imitazione di massa di questo gesto, non era così. Oggi come allora, in un momento storico così difficile, esporre un lenzuolo per restare umani è un gesto rivolto agli amici, a coloro i quali la pensano come te, per sentirsi meno isolati, per farsi coraggio, per riconoscersi in una squadra e dire: qui abita un antimafioso o un antirazzista». Secondo Piera Falluca, professoressa al liceo Meli e una delle prime aderenti "al comitato dei lenzuoli", nel gesto dei siracusani c’è un’analogia simbolica molto forte con quello dei palermitani di 27 anni fa. «Quel lenzuolo dove adesso scriviamo ‘restiamo umani’ e con il quale chiediamo di fare sbarcare i migranti è lo stesso con cui ieri avvolgevamo i morti del piombo mafioso e oggi copriamo i corpi dei disperati annegati in mare. Come 27 anni fa, è l’unico modo con cui non sentirsi complici e dissentire con le scelte di una politica che non rappresenta i nostri valori».
L’importante, però, è "essere in tanti", come quando il comitato dei lenzuoli portava il suo messaggio ai circoli militari alle borgate popolari. «Nel 1992 — ricorda Simona Mafai — eravamo in pochi e tutto partì spontaneamente, ricordo i lenzuoli che cominciavano ad apparire al Borgo Vecchio e alla Kalsa, io stessa, in punta di piedi, ne portai uno in un circolo militare e lo esposero subito.
Questa iniziativa è lodevole, anche se per forza di cose, difficilmente potrà toccare la forte emozione e indignazione che si respiravano in città dopo le stragi mafiose. Mi auguro però che, come allora, ci sia un’adesione spontanea e inaspettata».
E non è forse un caso che i lenzuoli, ancora una volta siano partiti proprio dalla Sicilia.
«Parliamo di due momenti storici e due contesti molto diversi — dice Giovanna Fiume, professore ordinario di storia moderna a Palermo — ma allora come oggi il lenzuolo, medium semplice e diretto, è un simbolo per prendere una posizione, che non poteva che essere lanciato in Sicilia, che ha vissuto così da vicino la violenza mafiosa e che sta assistendo al dramma umano dei migranti».
Repubblica Palermo, 27 genn 2019

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