giovedì, dicembre 20, 2018

I veleni di Mezzojuso: “Noi, sole dopo le denunce”


Dal nostro inviato, SALVO PALAZZOLO
Le sorelle Napoli che hanno puntato il dito contro la mafia dei pascoli: “Fango su di noi” Il sindaco: “Prendano le distanze da loro padre visto quello che si dice dei suoi trascorsi”
MEZZOJUSO - «Nel corso principale del paese, cambiano ancora strada quando ci vedono». Irene lo dice sorridendo. «Ormai ci siamo abituate ad essere isolate». Da una parte, le tre sorelle Napoli; dall’altra, il paese di Mezzojuso. «Ma, adesso, sta accadendo qualcosa di più grave — ora Irene non sorride più — provano a travolgerci con la macchina del fango, dicendo che nostro padre era il capomafia, se lo sono inventati proprio nei giorni in cui l’uomo che abbiamo denunciato pubblicamente perché invadeva le nostre terre con le sue vacche è stato arrestato nell’ultimo blitz antimafia. L’uomo che tutti ossequiavano in piazza, e ora nessuno parla di lui».

L’uomo che voleva prendersi l’azienda di Anna, Ina e Irene Napoli è Simone La Barbera, il figlio di Cola, il fidato di Bernardo Provenzano: fino a qualche giorno fa, era ufficialmente solo un dipendente dell’Istituto Zootecnico, adesso è in carcere con l’accusa di aver fatto da ambasciatore dei boss di Villabate per portare a termine un’estorsione a un imprenditore. I carabinieri l’hanno fermato nel blitz contro i nuovi padrini della Cupola. «Grazie al coraggio di un altro imprenditore che non si è piegato — dice Irene — e adesso il paese che fa? Mette sotto accusa Massimo Giletti e la sua trasmissione che ci ha sostenuto in questi mesi contro La Barbera dopo che Repubblica ha reso pubblico il nostro caso».
Il sindaco Salvatore Giardina è riuscito a portare Giletti, il suo opinionista Klaus Davi e il direttore di rete de “La7” Andrea Salerno davanti al giudice dell’udienza preliminare di Termini. Prima udienza il sette gennaio. Ipotesi di reato contestate dal procuratore Cartosio: diffamazione e violazione della legge che disciplina il sistema radio televisivo, perché sarebbe stata mandata in onda una trasmissione con «carattere di oscenità». Il primo cittadino di Mezzojuso è pronto a dare battaglia: «Hanno offeso l’onorabilità di un’intera comunità accusandomi di avereignorato la denuncia delle sorelle Napoli. Hanno detto persino che col mio presunto silenzio avrei cercato l’appoggio elettorale della mafia. Fango su fango, strumentalizzando la circostanza, del tutto irrilevante, che Simone La Barbera è cugino di mio cognato, il quale è una bravissima persona. Io ho già detto che l’amministrazione comunale si costituirà parte civile contro coloro che la procura di Palermo porterà a processo». Giardina annuncia che chiederà un risarcimento all’emittente “La7”: «Trenta secondi di spot su Mezzojuso, per un anno».
Ma al tribunale di Termini arriveranno anche le sorelle Napoli, per difendere Giletti. «Non fosse stato per i mezzi di informazione le nostre denunce sarebbero rimaste nel vuoto», rilancia Irene. Il processo è già iniziato. Dall’altra parte della strada, in Municipio, il sindaco si difende, ma poi anche attacca.
«Dopo avere appreso del caso da Repubblica, nel settembre dell’anno scorso, credo di aver fatto davvero di tutto per sostenere le sorelle Napoli.
Persino disporre l’esenzione per cinque anni delle tasse comunali per chi denuncia il pizzo.
Domenica, avevamo poi indetto un’assemblea cittadina, ma non si sono presentate». Ed ecco l’attacco, neanche troppo velato: «Adesso, mi aspetto che le sorelle Napoli prendano le distanze da loro padre». Per il sindaco, quella storia che adesso gira in paese non è «fango». Giardina dice: «Ci sono vecchi atti dei carabinieri che parlano di Salvatore Napoli, fu anche sindaco. Ecco perché all’inizio siamo stati così prudenti, non potevamo rischiare che l’amministrazione ci mettesse la faccia prima di avere la certezza che finalmente le tre sorelle si fossero rivolte alle forze dell’ordine e soprattutto si fossero affrancate definitivamente dalla loro famiglia». Irene Napoli taglia corto: «Temevamo un’imboscata all’assemblea cittadina, con quelle voci assurde su nostro padre. E l’imboscata, puntuale, è arrivata. È il prezzo per le nostre battaglie contro la mafia legata a Provenzano. Non ci fermeranno».
La Repubblica Palermo, 20 dic 2018

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