domenica, luglio 01, 2018

Strage di via D’Amelio, depistaggio di Stato

La strage di via D'Amelio
SALVO PALAZZOLO
I giudici di Caltanissetta collegano le indagini deviate con l’agenda rossa: “ La Barbera coinvolto nella scomparsa”
«Soggetti inseriti negli apparati dello Stato» indussero Vincenzo Scarantino a rendere false dichiarazioni sulla strage che era costata la vita al procuratore aggiunto Paolo Borsellino e ai poliziotti della scorta. «È uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana» , accusano i giudici della corte d’assise di Caltanissetta, che ieri hanno depositato le motivazioni della sentenza del processo Borsellino quater: 1.856 pagine, dodici capitoli, un lavoro minuzioso di ricostruzione firmato dal presidente Antonio Balsamo e dal giudice a latere Janos Barlotti, che rappresenta una tappa importante nel difficile percorso di ricerca della verità, perché fissa in maniera chiara i misteri ancora irrisolti e indica una strada per proseguire le indagini.

Indagini che puntano al cuore dello Stato. Scrive la corte: «È lecito interrogarsi sulle finalità realmente perseguite dai soggetti, inseriti negli apparati dello Stato, che si resero protagonisti di tale disegno criminoso, con specifico riferimento ad alcuni elementi» . Gli uomini dello Stato chiamati in causa sono alcuni investigatori del gruppo Falcone e Borsellino guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera: dovevano scoprire i responsabili delle bombe, invece costruirono a tavolino alcuni falsi pentiti. La corte non crede per ansia di giustizia e di risultato. No. Vennero suggerite a Scarantino «un insieme di circostanze del tutto corrispondenti al vero». Il furto della 126 rubata mediante la rottura del bloccasterzo è la verità che ha poi raccontato nel 2008 il pentito Gaspare Spatuzza. Come facevano i suggeritori a sapere la storia della 126? «È del tutto logico ritenere — scrivono ora i giudici — che tali circostanze siano state suggerite a Scarantino da altri soggetti, i quali, a loro volta, le avevano apprese da ulteriori fonti rimaste occulte» . Chi ispirò i suggeritori? La corte ricorda che il 13 agosto 1992, il centro Sisde (il servizio segreto civile) di Palermo, comunicò alla sede centrale che « la locale polizia aveva acquisito significativi elementi sull’autobomba». E ancora la corte rileva «l’iniziativa decisamente irrituale» dell’allora procuratore di Caltanissetta Tinebra di chiedere la collaborazione nelle indagini di Bruno Contrada, all’epoca numero tre del Sisde, poi arrestato per mafia dai pm di Palermo nel dicembre del 1992. «Una richiesta di collaborazione decisamente irrituale — ribadisce la sentenza — perché Contrada non rivestiva la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria» . Tanta «rapidità nel chiedere la collaborazione di Contrada già il giorno immediatamente successivo alla strage — scrivono ancora i giudici — a cui fece seguito la mancata audizione del dottore Borsellino nel periodo dei 57 giorni» che gli rimasero da vivere. E col Sisde collaborava anche il capo della Mobile La Barbera, pure questo ricorda la sentenza. E viene scritto, per la prima volta: c’è un «collegamento tra il depistaggio dell’indagine e l’occultamento dell’agenda rossa di Borsellino». Perché per i giudici La Barbera è anche « intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre».
Ci furono dunque poliziotti indefeli che pilotarono il falso pentito per finalità tutte da scoprire. Ma ci furono anche magistrati distratti. La corte d’assise non fa nomi, però scrive: « Un insieme di fattori avrebbe logicamente consigliato un atteggiamento di particolare cautela e rigore nella valutazione delle dichiarazioni di Scarantino, con una minuziosa ricerca di tutti gli elementi di riscontro, secondo le migliori esperienze maturate nel contrasto alla criminalità organizzata». E viene ricordato che due pm, Ilda Boccassini e Roberto Saieva, avevano scritto una nota ai colleghi per segnalare «l’inattendibilità delle dichiarazioni rese da Scarantino su via d’Amelio». Ma restarono inascoltati. Accadde di peggio. A nessun magistrato della procura nissena sembrò strano che «La Barbera facesse dei colloqui investigativi con Scarantino nonostante avesse iniziato a collaborare con la giustizia».
La Repubblica Palermo, 1 luglio 2018

Ha dichiarato Leoluca Orlando, sindaco di Palermo: 
"C'è evidentemente un filo che lega la sentenza sulla trattativa fra lo Stato e la mafia e questa sentenza sul depistaggio delle indagini sulla strage di via D'Amelio. 
Verità giudiziarie in più sedi e più procedimenti confermano la verità storica di pezzi dello Stato che agirono per la mafia e della mafia che agì per conto di pezzi dello Stato. 
Mentre occorre non fermarsi per giungere alla piena verità e giustizia, dobbiamo tutti avere gratitudine per la professionalità e la pervicacia di quei Magistrati che hanno continuato a cercare la verità, non a caso spesso attaccati e isolati anche da istituzioni che avrebbero dovuto difenderli. 
Dobbiamo tutti gratitudine a quella parte della società civile, come il movimento delle Agende Rosse, che non si è distratta e non ha dimenticato. 
Soprattutto abbiamo tutti un dovere di gratitudine e vicinanza alla famiglia di Paolo Borsellino che non ha mai smesso, con grande lucidità, compostezza e senso delle istituzioni, di continuare a chiedere giustizia." 

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