giovedì, luglio 12, 2018

L'Italia che funziona. Nel tunnel di Linate: 12 metri sotto la strada. Ora Milano è più vicina

La M4 Milano-Linate

PIERO COLAPRICO
Viaggio nella metropolitana che unirà la città all’aeroporto. Quindici chilometri e 21 fermate. L’intera tratta sarà pronta nell’estate 2023
MILANO - La stazione metro di Linate? Adesso esiste. Anche i tunnel sono pronti. Le rotaie già posate. Sui gradini che portano in superficie, c’è persino il posto per il corrimano.
Da meno dodici metri sotto il livello della strada vediamo per la prima volta, dopo due chilometri e 800 metri di gallerie, la lama gialla del sole d’estate. Tanto eravamo abituati al rumore dell’aria pompata nei cunicoli, e alla cadenza ipnotica dei fari, che a non sembrare naturale per un attimo sono loro, la luce e il cielo.

Ci avviciniamo a una sorta di baratro. Un parallelepipedo sghembo, affollato di operai con caschetto: è qui che caleranno, dall’alto, con una gru, i primi treni, che si stanno costruendo senza pause negli stabilimenti di Reggio Calabria. Verranno portati a bordo di Tir e montati quaggiù. Il milanese e il turista che stanno lassù, accanto alle automobili, talvolta brontolano, e forse non capiscono il senso di questa nuova trasformazione alla milanese.
Sono però molti di più i curiosi.
Girano intorno ai cantieri sparsi lungo la linea, che parte dalle periferie di Buccinasco, passa dal Naviglio, avanza sino al centro più centro di Sant’Ambrogio, di San Babila e di piazza Cinque Giornate, per raggiungere il confine opposto, Linate. Tutte le volte che le transenne si spostano e le gigantesche “talpe elettromeccaniche” si mostrano nella loro intelligenza metallica da Transformers, eccoli a centinaia, a migliaia, mettersi in coda e vedere, sapere, fotografare.
Entriamo nella pancia di cemento della futura M4. La linea blu: sopra di noi, lungo viale Forlanini, sgomma il bus numero 73, noi seguiamo il percorso sotterraneo della futura flotta di quarantasette treni senza conducente, lunghi 48 metri, capaci di portare 536 persone.
Qui funzioneranno nel gennaio 2021. Come una sorta di antipasto dell’estate 2023, quando tutto la M4 sarà in funzione. Siamo saliti su Wdagrto0565y, che non è una folle password, ma la sigla di un carrello color mais. In sei non ci stiamo larghi, ma essere i primi estranei a viaggiare sotto terra da e per Linate val bene qualche gomitata. Due colpi di clacson, con la doppia eco che rimbalza nei tunnel, e si parte. L’elegante gessato di Guido Mannella, responsabile di Salini Impregilo, e la camicia bianca immacolata di Massimo Lodico, di Astaldi, spiccano ancor di più sotto i giubbotti di sicurezza. Sono due entusiasti: «Io — dice Mannella — ho fatto la galleria del raccordo anulare di Roma, erano 80 centimetri al giorno, adesso queste che voi chiamate talpe, le Tbm, avanzano al ritmo di diciotto, venti metri al giorno».
«Sono macchine lunghe cento metri — aggiunge Lodico — che lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro, sette giorni su sette, con intorno ottanta persone, con il nastro trasportatore per lo smarino».
«Sì, chiamiamo così, smarino, i detriti. Arrivano al pozzo di estrazione del cantiere di Forlanini dopo aver percorso otto chilometri su nastro», dice ancora Mannella. «E quindi i camion non vanno in giro per la città», chiosa Lodico. Gli uffici stampa insistono nello spiegare le complessità degli azionariati di M4spa, Metro blu scrl, e ognuno tiene alta la bandiera aziendale. Il Comune, proprio ieri, parlava di costi in più per i ritardi pari a 65 milioni, tra stop per ragioni archeologiche, bonifiche e litigi con le aziende del telefono e i loro cavi sotterranei. Ma quando si lavora al di sotto della crosta terrestre, dove Lodico e Mannella, gli incontrastati signori delle talpe, si sviluppano altri pensieri: «Quello, lo vede? È il famoso giunto di concio, che serve per il principio dell’anello universale».
Niente fantasy alla Tolkien, la cosiddetta talpa scava e inietta nel terreno un po’ di schiuma, come quella da barba. Quindi i detriti diventano come pasta dentifricia e «mentre vengono rimossi, gli stantuffi spingono tutti insieme i sette anelli di cemento. In questo modo, mentre si scava, si avanza e si costruisce il tunnel grazie agli anelli di cemento, uguali, larghi un metro e quaranta, ma ce n’è uno diverso, il giunto. La macchina sa già, grazie al computer, dove dovrà posizionarlo, perché il tunnel cambia, ci sono curve, salite, discese, il concio è tutto».
E noi, che seduti nel metrò, poco o nulla ne sapevamo. A portarci sul carrello sono stati due operai, piemontesi di Bistagno, paese vicino ad Acqui Terme. Il più giovane e tatuato, quando si ferma alla stazione Forlanini, non resiste: «Ma, ingegnere, è vero che avete posto in un cantiere a Honolulu? Anche se io, dopo tante gallerie, preferirei una piattaforma petrolifera».
La Repubblica, 12 luglio 2018

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