mercoledì, febbraio 28, 2018

La falsa storia dei prodotti Doc siciliani

I pomodorini di Pachino

CARLO OTTAVIANO
Il pomodoro Pachino non è originario del Siracusano, ma di Tel Aviv. Il marsala è inglese Salvo il cioccolato di Modica tanto amato da Sciascia
Il marsala, il pomodorino di Pachino e il cioccolato di Modica non hanno mai fatto male a nessuno. Invece le parole di Alberto Grandi, professore universitario a Parma, sulle tre eccellenze siciliane risultano indigeste a tanti. Nel libro “Denominazione di origine inventata”, appena edito da Mondadori, lo storico sostiene che si tratta di invenzioni di marketing e che le narrazioni sulle loro antiche origini sono fake news, bufale a scopo commerciale. Con uguale determinazione Grandi bombarda altri simboli del made in Italy a partire dal parmigiano reggiano che sarebbe nato in Wisconsin. La tesi di fondo è che il mito della cucina italiana ha origine negli anni Sessanta e che in Italia «si è affermata l’assurda pretesa di codificare la tradizione per decreto». Niente di nuovo: già lo storico inglese Eric Hobsbawm aveva dimostrato che è una «invenzione della tradizione» perfino il kilt scozzese, nato solo nella seconda metà dell’Ottocento «con buona pace – scrive Grandi – di Mel Gibson e del suo Braveheart».

Per quanto riguarda i prodotti simbolo della Sicilia, Grandi ha ragione in due casi su tre.
Sul Marsala riconosce – bontà sua – ai siciliani l’onestà intellettuale di non bluffare sui meriti del commerciante inglese John Woodhouse che in ognuna delle trenta botticelle di vino siciliano caricate nel 1773 sul brigantino Elizabeth aveva aggiunto due galloni di alcol per garantirne la conservazione. Ne venne fuori un vino liquoroso, simile al Madera.
Ecco, Woodhouse lo spacciò come spagnolo e zitti zitti così continuarono a fare altri imprenditori inglesi (Ingham, Hopps, Whitaker, Payne, Corlett, Pink, Clarkson, Wood) giunti in Sicilia sull’onda del successo. La nuova narrazione sul vinum in perpetuum prodotto sin dai tempi dei Cartaginesi (ma siamo nell’ambito delle favole e non delle certezze storiche) arriva molto dopo, durante il regime fascista, quando non si poteva certo «ammettere che un vino italiano fosse in realtà un’invenzione della perfida Albione».
Il pomodoro Pachino è un altro tipico Doi, denominazione di origine inventata. Ci sono persino data e luogo di nascita certi: 1989, centro di ricerche genetiche Hazera Genetics a Tel Aviv. Non è propriamente un Ogm ma un Mas (Market Assisted Selection), insomma un ibrido, un incrocio creato in laboratorio «dove in poco tempo viene fatto quello che in natura potrebbe durare millenni attraverso il noto meccanismo della selezione naturale di darwiniana memoria».
In un primo momento il piccolo “ciliegino” non ebbe grande fortuna presso i coltivatori siciliani abituati a produrre pomodori di dimensioni ben maggiori ma solo nella stagione calda, a differenza dell’odierno Pachino che matura tutti i mesi dell’anno e quindi con enormi potenzialità commerciali.
Comunque, va detto, nel siracusano il pomodoro israeliano cresce meglio che altrove. Fatto sta che ora i coltivatori siciliani sono legati a doppio mandato a Israele per l’acquisto dei semi o delle piantine.
Eccoci a Modica, infine, dove invece è stata considerata lesa maestà la tesi di Grandi a proposito dello straordinario cioccolato lavorato a freddo. «La storia – scrive – è meno affascinante di quel che si racconta in modo decisamente bizzarro». Dare agli Aztechi e ai conquistadores spagnoli del Messico il merito dell’origine della ricetta sarebbe pura invenzione e a creare, involontariamente, il qui pro quo sarebbe stato addirittura Leonardo Sciascia durante un viaggio negli anni Ottanta ad Alicante. In Europa – sostiene Grandi – le prime barrette solide di cioccolato sono apparse nel 1847 a Londra e solo più di un secolo dopo, nel 1990, Franco Ruta della Dolceria Bonajuto di Modica sarebbe riuscito a creare a freddo l’impasto granuloso con i cristalli di zucchero. E qui – dicono a Modica – casca l’asino!
«Ci sarebbe tanto, troppo da dire – replica Pier Paolo Ruta – Sarebbe bastato sbirciare tra le nostre vetrine per trovare esempi di “Xocolata a la Piedra” ancora oggi prodotta in diversi parti della Spagna». Ruta, cita studi dei secoli scorsi: «Si potrebbe scrivere un trattato per segnalare le similitudini tra il metate raffigurato nel codice Mendoza ed i racconti delle lavorazioni sulla “valata” che faceva mio nonno o la postura curva di Don Luigi Baglieri, l’ultimo “ciucculattaru” ambulante ancora vivente». Negli stessi giorni dell’uscita del libro di Grandi, Ruta ha pubblicato il librettino “Voltaire e la cioccolata di Modica”, di Marcella Smocovich, giornalista e scrittrice di origine istriana, per 15 anni assistente personale a Roma di Leonardo Sciascia. «Leonardo Sciascia – scrive Smocovich – prima di essere uno scrittore era un siciliano intelligente, gentile e generoso; e per gli amici, i direttori di giornali e molti intellettuali, uno spacciatore di cioccolata di Modica, di dolci siciliani, di stampe antiche e di libri».
La scrittrice narra di un viaggio a Barcellona. : «Durante una cena con Manuel Vázquez Montalbán, aveva vantato la cioccolata dell’Antica Dolceria Bonajuto fatta ancora secondo l’antica tradizione precolombiana che gli spagnoli credevano fosse solo loro». E stavolta oltre che letteratura, queste parole sono sentenza, anzi Cassazione, a chiudere le polemiche provocate dal comunque interessante libro del docente emiliano.
La Repubblica Palermo, 27 febbraio 2018

Nessun commento: