giovedì, settembre 28, 2017

Palermo. L’antimafia sociale come esempio da seguire

UMBERTO SANTINO
Vivere all’Albergheria”: era questo il titolo di un incontro svoltosi nei giorni scorsi per parlare di “antimafia sociale” e delle attività nei quartieri di Palermo, in particolare nel centro storico. Da anni vi operano centri sociali e altre forme associative che cercano di far fronte alle condizioni derivanti dalla marginalità: la disoccupazione e il lavoro nero, servizi carenti o inesistenti, l’abusivismo come regola e l’arrangiarsi come forma di vita. In questo quadro le attività illegali, più o meno direttamente legate alla mafia, in mancanza di una consistente economia legale, offrono una possibilità di sopravvivenza a buona parte della popolazione. Non mancano esempi che ci danno un quadro dell’economia reale e della vita quotidiana: ragazzi che abbandonano la scuola per dedicarsi a traffici illeciti; donne familiari di vittime che denunciano coloro che ritengono colpevoli, si costituiscono parti civile e vengono isolate dalla popolazione. Ma ci sono pure esempi positivi, come giovani accompagnati nei loro studi fino alla laurea, donne con i mariti in carcere che si riuniscono per parlare dei loro problemi e provano ad affrancarsi da una condizione di subalternità.
Nel quartiere dell’Albergheria il Centro sociale San Saverio, operante dal 1985, è stato un esempio da imitare. Nel lavoro con i bambini, con le donne e con gli anziani, ha superato i limiti delle attività assistenziali, è stato insieme un centro di aggregazione e di maturazione di una coscienza civile, ha promosso mobilitazioni per il diritto alla casa, ha ospitato per anni un distretto socio-sanitario che praticava una medicina alternativa. E ha affrontato problemi che partivano dal quartiere ma riguardavano la città. Per iniziativa di alcuni operatori è nata la prima esperienza di bilancio partecipato, con l’esame della spesa pubblica comunale, per analizzare la politica reale, al di là delle promesse elettorali e della narrazione massmediale. Un’attività che non è risultata molto gradita agli amministratori del tempo. Ma non sono mancati problemi all’interno del centro sociale e del quartiere. Gli operatori esterni al quartiere erano portatori di una cultura che poneva l’accento sulla lotta alla mafia, in anni in cui Palermo era assediata dalla violenza, mentre gli abitanti del quartiere, anche quelli impegnati nella gestione del centro sociale, mostravano comprensibili perplessità. Non si trattava solo dei rischi derivanti dall’esposizione con denunce esplicite ma di qualcosa di più profondo: non c’era solo il ruolo storico dell’organizzazione mafiosa , con la roccaforte di Porta nuova, ma pure una realtà in cui era difficile tracciare una linea netta tra legale e illegale. Anche al Centro Santa Chiara, storica presenza dei salesiani nel quartiere, ci sono stati problemi. Le denunce, da parte di sacerdoti, di casi di pedofilia, hanno portato alla condanna di alcuni responsabili ma i sacerdoti sono stati isolati e trasferiti. Negli ultimi anni il quartiere è diventato sempre più multiculturale, con una crescente presenza di immigrati, ed è stato un esempio di accoglienza e di convivenza civile, ma ci sono state contrapposizioni tra le varie etnie mentre mafiosi locali e gruppi etnici hanno cominciato a collaborare nel traffico di droga. E la tratta delle donne è diventato il nuovo business delle organizzazioni criminali. In questo contesto, può valere il messaggio di padre Puglisi: “ognuno faccia qualcosa”, ma non ci vuol molto a capire che la forma più credibile di antimafia è sviluppare l’economia legale, creare lavoro e offrire, soprattutto alle nuove generazioni, un progetto di vita che affranchi dalla signoria mafiosa. E questo è impossibile senza politiche sociali, investimenti pubblici e la maturazione democratica dei cittadini. Dovrebbe essere un percorso praticabile ma sembra un’utopia. Palermo quest’anno è capitale nazionale dei giovani (ma i giovani lo sanno?); l’anno prossimo lo sarà della cultura. Quando diventerà capitale della liberazione dal bisogno e del vivere civile? E quando cesserà di essere una discarica permanente, dall’Albergheria alla Favorita?

La Repubblica Palermo, 27 settembre 2017

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