domenica, luglio 09, 2017

MAFIA IN GERMANIA. LA GIORNALISTA PETRA RESKI E OSSIGENO SULLA F.A.Z.

di ANDREAS ROSSMANN
Imparare dalla mafia significa imparare a tacere. Una giornalista d’inchiesta intimidita e piantata in asso dal settimanale Der Freitag: il caso Petra Reski è per vari aspetti insolito
Chi scrive sulla mafia, lo fa “a proprio rischio e pericolo”, dice il giornalista italiano Alberto Spampinato. Questo siciliano sa di cosa parla: da quando suo fratello Giovanni nel 1972, all’epoca venticinquenne, e corrispondente dalla sua città natale, Ragusa, del quotidiano palermitano L’Ora, fu assassinato da Cosa Nostra, questo tema non gli dà pace. Nel 2009 ha pubblicato un libro su suo fratello, scritto in prima persona. L’anno prima Spampinato, che ha lavorato a lungo a Roma per l’agenzia di stampa Ansa, ha dato vita al progetto “Ossigeno per l’informazione”, una sorta di “Osservatorio sui diritti umani” per i giornalisti. Dal giorno della sua fondazione, “Ossigeno” ha documentato un numero crescente di casi, e non solo nel Sud Italia: nel 2009 sono stati 91, nel 2016 più di quattrocento.

“A proprio rischio e pericolo”, riguarda anche il pericolo di perdere la propria vita. Negli ultimi trent’anni sono stati tredici in Italia i rappresentanti della stampa uccisi dalla mafia. E ciò significa a proprie spese: molti giornalisti sono stati minacciati, con gomme forate e bombe incendiarie o con richieste di risarcimento danni e diffamazioni; cose che, data la lentezza della giustizia, possono impegnare le forze fino a fiaccarle. Alcuni – come Roberto Saviano – sono sotto scorta, e questo non solo a Napoli, Caserta o Reggio Calabria. Spampinato però intende anche il pericolo per l’integrità: ostilità e intimidazioni devono ridurre al silenzio i giornalisti. Ne sa qualcosa anche Petra Reski, che, come autrice libera, indaga sulla mafia e della cui storia qui si parla.
Affari miliardari anche qui da noi in Germania – Un mezzo legale per assicurarsi il silenzio, lo offre il diritto a difendere la propria reputazione, che per i tribunali italiani vale meno del pubblico interesse. Ciò stimola i media a svolgere il loro ruolo di guardiani e controllori.
In Germania questo avviene solo occasionalmente, anche perché volentieri ci si comporta come se qui la mafia non fosse presente. La polizia e la stampa locale, non di rado, danno l’impressione che si tratti di “faccende interne” italiane, anche quando essa svela la sua presenza con assoluta evidenza, come è avvenuto nel 2007 a Duisburg, dove in una faida tra due clan della ‘ndrangheta furono giustiziate sei persone, o come è avvenuto due anni fa sulle rive del Lago di Costanza, dove furono arrestati otto componenti dell’organizzazione calabrese.
Il BKA, il Dipartimento federale d’investigazione criminale, tuttavia, ritiene che in Germania ci siano oltre cinquecento affiliati alla mafia e conosce gli affari miliardari che fanno con il traffico di droga e di armi, con le ditte prestanome e con il riciclaggio di danaro sporco. Purtroppo gli strumenti giuridici disponibili non sono all’altezza della sfida e le azioni penali sono poco efficaci. Solamente in Germania le autorità hanno l’obbligo di dimostrare a un presunto mafioso che egli ha acquisito illegalmente i milioni di euro investiti in immobili. In Italia avviene il contrario: se un sospettato non può provare com’è venuto in possesso del suo patrimonio, questo gli viene sequestrato. 
Le conseguenze del suo lavoro coraggioso – Già nel 2013 il governo federale aveva annunciato l’introduzione dell’inversione dell’onere della prova, ma tuttora questa riforma non c’è stata e fino a quando non sarà approvata la mafia avrà gioco facile e la polizia si troverà in difficoltà. Gli affari della mafia ottengono scarsa attenzione in proporzione ai danni che essi causano all’economia e alla società civile. Fare inchieste in questo campo è difficile e dispendioso e, sebbene il dovere della stampa di riferire su ogni episodio sospetto sia sancito giuridicamente, alcuni tribunali pretendono che i giornalisti si avvalgano di fatti probatori precisi e non soltanto di indizi.
Petra Reski scrive di continuo ed è bene informata sulla mafia. Ha buoni contatti ed è bilingue. Da più di vent’anni segue da Venezia gli sviluppi e gli intrecci nei due Paesi. In articoli e libri, tra i quali Mafia. Padrini, pizzerie e falsi preti (2008) (edizione italiana: Santa Mafia), la pubblicista, nata ad Unna nel 1958, fa luce sulle strutture di potere e le trame, fa capire i rischi ed espone se stessa al pericolo. Nei suoi lavori, opinioni e analisi si legano ad audacia e coraggio. Le conseguenze non si sono fatte attendere: azioni inibitorie e querele per diffamazione, pressioni, processi.
Un caso per molteplici aspetti insolito – “Chi scrive sulla mafia lo fa a proprio rischio e pericolo”. La frase è stata citata anche da Petra Reski in un articolo apparso il 17 marzo 2016 sul settimanale Freitag col titolo “Ai boss piace il tedesco”. In un’intera pagina la giornalista descrive come la mafia, rapidamente e agevolmente, ha potuto mettere piede nella Germania dell’Est. Espone la difficoltà di raccontarne le attività e documenta alcune esperienze. Un anno dopo, quella frase ha suscitato una reazione preoccupante: la querela dell’autrice, davanti al tribunale di Lipsia, da parte di un uomo d’affari italiano, citato per nome nell’articolo, che considera leso il diritto alla tutela della sua reputazione. Questa querela ha colpito la giornalista sia dal punto di vista finanziario che da quello della sua buona fede e della sua tranquillità personale. È probabile che il querelante mirasse anche e soprattutto proprio a questo, dato che il suo nome era già stato fatto in altri articoli di giornale su questa sentenza e, almeno in un primo tempo, ha chiesto l’intervento del Tribunale soltanto contro l’autrice dell’articolo e non contro il giornale. Poi in un secondo tempo il Freitag ha ricevuto un’ammonizione.
Il caso è insolito sotto molteplici aspetti, dal momento che, per il suo articolo, Petra Reski aveva preso lo spunto da una precedente sentenza, sempre del tribunale di Lipsia, a favore dello stesso uomo d’affari. Questi aveva sporto querela contro il reportage trasmesso il 4 novembre 2015 dalla rete televisiva MDR “La provincia dei boss – La mafia nella Germania centrale”, poiché si riteneva rappresentato in maniera identificabile nella persona chiamata “Michele”, che, secondo le indagini delle autorità italiane, era affiliata alla mafia e, come amministratore finanziario, era implicata nell’espansione della ‘ndrangheta a Erfurt.
Neppure il tentativo di venire incontro all’autrice – Petra Reski ha riferito questa sentenza pubblica sul Freitag. In un primo momento il tribunale ha considerato “assolutamente inammissibile” la richiesta di adottare un provvedimento provvisorio e lo ha comunicato al querelante. Del resto appariva dubbio che il princìpio secondo cui l’obbligo della stampa di riferire su un sospetto, princìpio che il querelante riteneva leso, avrebbe trovato applicazione nel caso in oggetto. Successivamente il tribunale, considerato particolarmente benevolo nei confronti dei querelanti, ha accettato l’istanza e ha accolto la querela. Così il 24 febbraio 2017 Petra Reski è stata condannata a non divulgare ulteriormente. La sentenza è stata resa provvisoriamente esecutiva ed è stata applicata una cauzione di cinquemila euro.
L’italiano, che a Erfurt gestisce una gelateria e un ristorante, aveva chiesto il provvedimento il 28 giugno 2016, più di tre mesi dopo la pubblicazione dell’articolo. Alla giornalista, che vive a Venezia, è stato recapitato a novembre 2016. A settembre 2016 il querelante si è rivolto anche al Freitag. È normale che un giornale, quando decide di pubblicare un articolo, resti in disparte, dietro all’autore ma, in caso di conflitto giuridico, si metta al suo fianco, agisca di concerto con lui e lo difenda. Un sondaggio tra i consulenti legali e gli avvocati che assistono i media lo ha confermato: nessuno ha mai sentito parlare di un caso in cui non si sia agito così. Sì, di regola il giornale si assume il rischio, lo ha fatto anche quando, in seguito, è giunto a un’altra valutazione giuridica, diversa da quella dell’autore. Il Freitag invece non ha assolutamente cercato di aiutare la sua autrice, anzi ha cancellato subito il suo articolo dalla pagina Internet, senza discuterne con lei.
“Le redazioni non sono un’assicurazione di tutela legale” – “Le spese legali per una piccola casa editrice come la nostra sono un peso considerevole”, ha spiegato la redattrice responsabile, con la quale più volte aveva lavorato bene, ha detto Petra Reski al Frankfurter Allgemeine Zeitung. Lei si è sentita piantata in asso dal Freitag: “Nessuno al Freitag sembra aver considerato che per una piccola autrice come me, che ha guadagnato per questo articolo 321 euro lordi, le spese legali sono un peso considerevole, se non addirittura qualcosa di ancor più pesante”.
Invitato a prendere posizione, Jakob Augstein, caporedattore del Freitag, ha detto al F.A.Z.: “Come giornale ci viene richiesto di confidare nel lavoro corretto dei nostri autori. Se inconsapevolmente stampiamo affermazioni che si rivelano insostenibili, dobbiamo garantire che non ripeteremo più tali affermazioni. È una prassi normale nel panorama dei media tedeschi e ed ancor più giusta e importante in tempi contraddistinti da espressioni come “fake news” e “stampa bugiarda”. “Al rimprovero rivoltogli per il mancato sostegno legale, ha replicato: “Le redazioni non sono un’assicurazione di tutela legale per le inchieste di scarsa qualità”.
Con ciò Augstein non solo accetta, senza verificarla, la decisione di Lipsia, ma discredita l’autrice fino allora stimata dal giornale, facendo così sapere cosa può significare e quanto può costare una libera collaborazione al Freitag.
Per Petra Reski questa esperienza può essere un incentivo in più a preferire di scrivere romanzi sulla mafia invece che articoli di inchiesta e saggi. Ad agosto uscirà per la Hoffmann e Campe il suo terzo romanzo sull’investigatrice di mafia Serena Vitale, titolo: “Con tutto l’amore”.
Già da tempo lei ha individuato alcune buone ragioni per cambiare genere: a partire da quell’episodio del 2008 a Erfurt, quando durante una sua conferenza, un italiano elegantemente vestito si alzò in piedi, difese chi aveva sporto querela contro il suo libro Santa Mafia e si congratulò ironicamente con l’autrice per il suo coraggio. “L’ultima notifica recapitata al mio indirizzo di Venezia”, racconta ora, “contiene l’indicazione del piano dello stabile in cui abito, sebbene io non l’abbia mai indicato. Questo può saperlo solo chi è stato davanti alla mia porta”.
Petra Reski sa che cosa le vogliono dire con questo.
Questo articolo è stato pubblicato il 1 aprile 2017 dalla Frankfurter Allgemeine Zeitung


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