mercoledì, luglio 26, 2017

Google ti fa la rassegna stampa. Quali rischi per la libertà di informazione?

MATTEO SCIRE'
Il colosso di Mountain View vuole sfruttare ancora di più il proprio ruolo di bussola del cyberspace, anche nel settore delle digital news
Da un po’ di giorni a questa parte Google sulla propria app per Android e iOs propone una serie di notizie sulla base delle ricerche e delle navigazioni effettuate dagli utenti, proprio come accade per la pubblicità. In particolare si tratta di un’evoluzione di Google Now, un software introdotto già nel 2013 che funge da assistente personale e che anticipa i gusti e gli interessi degli internauti. Il colosso di Mountain View vuole sfruttare ancora di più il proprio ruolo di bussola del cyberspace, anche nel settore delle digital news. C’era da aspettarselo. D’altronde è grazie al tracciamento delle attività degli utenti che ha fondato il proprio incontrastato dominio economico, con la vendita di dati e di spazi pubblicitari capaci di raggiungere target specifici.

Non si tratta di una novità. Il meccanismo è già utilizzato da altri grandi player della rete. Facebook, ad esempio, lo adopera nel news feed per selezionare i post da mostrare ai membri della propria community e al fine di offrire ai clienti i servizi di sponsorizzazione dei contenuti a pagamento. Tuttavia l’iniziativa del principale motore di ricerca pone alcune importanti questioni sul ruolo che sempre di più i grandi di internet ricoprono nel sistema dell’informazione digitale, sulle ricadute che questo ha nei confronti dell’opinione pubblica e su quella dei cittadini.
Già da anni Google esercita un decisivo potere di selezione dei contenuti attraverso i suoi algoritmi. Modelli matematici calibrati su criteri decisi dal gigante del web e che determinano il tasso di visibilità di un articolo, di un’immagine o di un video. Formule per lo più sconosciute. Dei veri e propri rompicapo con cui gli esperti della Search Engine Optimization (Seo) si confrontano giornalmente, per capire in che modo realizzare prodotti editoriali che possano raggiungere la cima dei risultati. Arrivare ai primi posti è fondamentale. Una recente indagine commissionata dalla Commissione europea ha svelato che quelli della prima pagina guadagnano il 95% di tutti i click, mentre i link della seconda ne intercettano soltanto l’1%.
Adesso Google non si accontenta di orientare gli utenti, ma intende pure costruire la loro dieta informativa, svolgendo quella funzione che gli studiosi dei media da tempo hanno definito come “agenda setting”. Seppur sulla base dei loro interessi, sarà Big G a decidere quali notizie entreranno nella rassegna stampa personale di ogni lettore. Un potere di filtro fortissimo che se, di fatto, non limita la libertà dei cittadini ad informarsi di certo la disabilità, poichè li spinge a delegarla ad un soggetto terzo. Al lettore non viene neanche richiesta la fatica, si fa per dire, di digitare l’url di un giornale online o le parole chiave dell’argomento su cui intende cercare notizie. Basterà semplicemente aprire l’app e un elenco di articoli scelti da Google, come per magia, apparirà sullo smartphone.
Un servizio così apparentemente utile e innocuo da essere in realtà estremamente pericoloso. In gioco, infatti, c’è la libertà di informazione, intesa come libertà di informare, di informarsi e di essere informati, secondo una pluralità di fonti e punti di vista differenti. Un principio così fondamentale per la promozione del confronto e della partecipazione democratica da rappresentare uno dei capisaldi della nostra Costituzione e di quelle di tutti gli altri Paesi democratici, ma che nella società digitale rischia di essere sistematicamente piegato alle volontà di quei pochi soggetti che gestiscono la quasi totalità del traffico della rete.
Di fronte a questo scenario, al di là degli auspicati interventi regolativi contro la formazione di posizioni dominanti, l’unica risposta possibile è la promozione di una maggiore consapevolezza da parte delle istituzioni e dei cittadini attraverso un forte investimento sulla media education, ovvero sull’educazione ad un utilizzo responsabile dei nuovi media. Ne va del futuro della democrazia.
Matteo Scirè

www.unita.tv, 26.07.2017

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