giovedì, giugno 01, 2017

Due volumi di Agostino Spataro: "I racconti di Realturco"

ANGELO G. PORTELLA*
Dopo “Ioppolo Giancaxio: fra storia e memoria”, che rievoca la storia e i principali avvenimenti politici e sociali del paese, Agostino Spataro pubblica quest’ampia raccolta (circa 100) di “Racconti di Realturco”, estrapolati dalla tradizione locale del “cuntu” e della poesia vernacolare.
Il lavoro, diviso in due volumi, vuole essere un contributo alla ricostruzione della nostra identità culturale e alla salvaguardia della memoria collettiva. In tal senso, l’opera riscopre un percorso culturale interessante, per molti versi inedito, attraverso il quale è possibile ripercorrere sentieri smarriti o ignoti ai più giovani, cogliere taluni aspetti, anche etnografici, della nostra vicenda umana così come si è dipanata negli ultimi decenni.

Si tratta, infatti, di un contributo prezioso che, unitamente a quelli di altri autori, arricchisce il patrimonio culturale di Ioppolo Giancaxio.  Un lavoro davvero propizio specie in questa fase nella quale siamo impegnati a rilanciare la prospettiva economica del nostro paese, soprattutto sui versanti dell’agricoltura, dell’accoglienza turistica e dell’intrattenimento.
Questi “racconti” sono un “lascito” che consegniamo agli scolari e agli studenti delle nostre scuole, alle nuove generazioni, ai nostri tanti emigrati in varie parti del mondo, a tutti i cittadini residenti e ai graditi ospiti che vorranno venire a trovarci.
Ritenendo d’interpretare il pensiero del Consiglio comunale e della cittadinanza, l’Amministrazione comunale di Ioppolo Giancaxio ha deciso di pubblicare il lavoro di Agostino Spataro, già consigliere e assessore comunale e deputato nazionale, ringraziandolo per avere egli concesso, gratuitamente, al nostro Comune i diritti d’autore e reso così possibile la presente edizione.  Buona lettura. 
* Sindaco di Ioppolo Giancaxio

Maggio 2017

SCHEDA DEI DUE VOLUMI

Titolo:  “I RACCONTI DI REALTURCO”

Autore: Agostino Spataro

1° Volume: n. 56 racconti, 24 foto d’epoca -  Pagine   288

2° Volume: n. 41 racconti, 29 foto d’epoca -  Pagine   256

Edizione speciale a cura del Comune di Ioppolo Giancaxio, 2017
(in corso di stampa)


Nota dell’autore / La nostra storia (cenni)

1... Prima di presentare questi racconti, che nell’insieme formano una sorta di “romanzo popolare”, desidero accennare alla vicenda storica e politica di questo nostro, grazioso paesino, accucciato sopra una delle due colline emergenti dall’immenso cratere insistente lungo la fascia che va dai templi di Agrigento alle propaggini dei monti Sicani. Il libro vuole essere il “romanzo” del nostro popolo e del suo borgo che, come tanti altri in Sicilia, nel Meridione, nel Mediterraneo, sta vivendo una grave crisi sociale, condannato com’è dall’emigrazione storica e da quella attuale che si porta via i giovani, soprattutto, diplomati e laureati. Paese in prevalenza di anziani, sembra rassegnato ad affidare la sua speranza di sopravvivenza non al naturale ricambio generazionale ma al modesto flusso d’immigrati. Questo l’identikit del paese, secondo i dati Istat, forniti dal Comune: popolazione 1.248 abitanti (censimento del 2011). Nel 1922 era di circa 3.000 abitanti. Rispetto a tale dato c’è una perdita del 59%.  La decrescita non si è fermata. Oggi, il paese presenta un saldo demografico assai negativo (-119) nel periodo 2002-15, durante il quale si sono registrati 258 decessi e solo 137 nascite. Il picco più preoccupante si è avuto nel 2014 con 5 nascite e 16 decessi. C’è, dunque, poco da festeggiare e molto da capire, e da fare, per invertire la tendenza e mettere il paese al passo con lo sviluppo possibile. In assenza di una iniziativa adeguata, ci resteranno, come qui si dice, solo “gli occhi per piangere”. 

2... Nell’attesa del cambiamento e per avere un’idea da dove veniamo, è utile ricordare alcuni cenni della storia del paese desunti da libro “Ioppolo Giancaxio: fra storia e memoria” (del 1996) al quale rinvio. Il paese fu fondato nel 1696 da un rampollo della famiglia Colonna di Cesarò, nel quadro di una nuova politica di ripopolamento dei feudi e dei latifondi siciliani. L’obiettivo prioritario era quello di fornire ai proprietari, mediante i nuovi insediamenti, manodopera a basso costo da sfruttare in maniera continuata.  Il possesso di un maggior numero di feudi, di “anime” e di “fuochi”, serviva a quell' aristocrazia, oziosa e assenteista, per assicurarsi un posto di rilevo a corte e/o in parlamento e di vivere nel lusso delle loro sontuose dimore di Palermo, di Napoli e di Parigi.
In Sicilia, nemmeno la sua formale abolizione (1812) fece scomparire il feudo e il sistema socio-economico generato. Di fatto, sopravvisse fino al secondo dopoguerra del 1900, anteponendosi al progresso, ritardando le conquiste sociali e le riforme politiche importanti già in vigore in altre contrade d’Italia e d’Europa. Tale storico ritardo spiega molti dei mali che ancora affliggono la Sicilia e i siciliani. 


3... Sulla realtà del feudo non si è scritto abbastanza. Ancor meno si è fatto per informare, per formare le coscienze delle generazioni post-feudali. Per liquidarlo ci sono volute lotte gloriose di popolo e il sacrificio di contadini eroici che caddero sotto il piombo di una mafia barbara e servile. Anche il popolo del nostro paesino partecipò, con esiti alterni, a questa epopea politica e sociale che segnava il suo vero, primo rinascimento. Le terre del duca furono espropriate e assegnate alle famiglie dei contadini senza terra i quali andarono perfino a seminarle. Un ettaro a testa per 180 capifamiglia. La riforma agraria aveva trionfato anche in questa landa desolata, dimenticata. Contro gli espropri dei feudi, le figlie eredi dell’ultimo duca Colonna di Cesarò e i loro tirapiedi prezzolati usarono ogni astuzia, ogni inganno, ricorsero alle violenze per far revocare i decreti prefettizi. Purtroppo, a causa di un banale (?) errore della cooperativa richiedente l’esproprio, le eredi riuscirono nell’intento e vendettero le proprietà (terre e castello), in fretta e furia, a un prete che agiva per se stesso e per conto terzi.  Quei 180 padri di famiglia assegnatari, furono costretti ad abbandonare i lotti già seminati e con essi la speranza di una vita più degna.  Quasi tutti emigrarono all’estero a cercare lavoro e libertà: in Belgio, in Venezuela, in Canada, negli Usa, in Argentina, in Australia perfino. Anche loro continuano a essere parte di noi. (Agostino Spataro)

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