giovedì, maggio 11, 2017

Il libro di Pino Governali: ci fa riflettere sulle nostre antiche origini

DINO PATERNOSTRO
Pino Governali con i suoi “Reperti, parole sotto la cenere”, ci aiuta a «sottrarre all’oblio uno straordinario tesoro di saggezza popolare», scrive il prof. Giovanni Ruffino.  E ci aiuta anche a dare una «sistematizzazione scientifica a quel prezioso materiale spesso frutto di incontri con gli anziani del paese», sottolinea opportunamente Giovanni Perrino. Ma Pino ci spinge a riflettere pure su una peculiarità del dialetto corleonese, che ha suoni ed accenti diversi dalle “parlate” degli altri paesi del circondario, perché vi permangono tracce di quel dialetto gallo-italico, di provenienza “lombarda”, che anticamente indicava genericamente le attuali regioni della Lombardia, del Piemonte e della Liguria. I principali comuni siciliani dove ancora oggi è riscontrabile questo dialetto gallo-italico sono Nicosia, Sperlinga,  Piazza Armerina e Aidone in provincia di Enna, San Fratello, Acquedolci, San Piero Patti, Montalbano Elicona, Novara di Sicilia e Fondachelli-Fantina, in provincia di Messina. A Corleone si nota solo qualche traccia. In particolare, come sostiene autorevolmente il prof. Ruffino, nel passaggio/trasformazione della “l” intervocalica (fuimmicura ‘formica’) in “r”. La formazione di queste “isole linguistiche” in Sicilia fu favorita dai Normanni, che, dopo la sconfitta degli Arabi, incoraggiarono il processo di latinizzazione dell’isola con una politica d’immigrazione.
Fu così che abitanti dell’Italia settentrionale (detti comunemente lombardi, ma prevalentemente piemontesi e liguri) colonizzarono alcune aree della Sicilia, sfruttando la concessione di terre e privilegi fatta dall’imperatore. Questo avvenne anche per Corleone. Il miles lombardo Oddone de Camerana, infatti, ottenne nel 1237 da Federico II il permesso di trasferirsi in Sicilia, con un gruppo di lombardi (“homines de partibus Lombardiae”), provenienti dalle parti di Tortona in Piemonte e dell’Oltrepò Pavese in Lombardia, per sfuggire alla povertà e alle guerre (cfr. Regesta Imperii, V, n. 2298). Del privilegio in favore di Oddone de Camerana, la cui autenticità non è certa, è stata a noi tramandata una copia trecentesca (J.L.A. Huillard-Breholles, Historia diplomatica Friderici secundi, t. V, pars I, p. 128), da cui si evince che sia stato emanato “in castris ante Brixiam”, presso Brescia. Come possiamo constatare, nell’Italia degli inizi del Secondo Millennio l’emigrazione aveva una direttrice Nord-Sud, piuttosto che Sud-Nord, come avviene oggi. E, in questo contesto, la Sicilia era una delle mete privilegiate. Nel 1220, Federico II concluse la campagna contro gli arabi, cacciandoli dalla Sicilia e deportandoli a Lucera, in Puglia. La Corleone d’allora, che era diventata in prevalenza araba, rimase quindi spopolata e si avviava ad un lento ma inesorabile declino. Ad evitarlo fu lo stesso Federico con l’assegnazione della terra di Corleone a Oddone de Camerana, per ripopolarla con una colonia di lombardi. Questi lombardi, di fede ghibellina, quindi fedeli all’imperatore contro le voglie egemoniche dello Stato pontificio, già conoscevano la Sicilia, per aver provato due anni prima a colonizzare Scopello, l’odierna Paceco, in provincia di Trapani (cfr. Regesta Imperii, V, n. 2298). Ma siccome in quel luogo si trovarono esposti alle incursioni dei pirati, chiesero all’imperatore il permesso di potersi trasferire nella “fertilissima” terra di Corleone. Permesso che egli accordò subito, perché fortemente interessato ad avere in questa città, posta strategicamente al centro dell’antica strada consolare che da Palermo portava ad Agrigento, un presidio “amico”. Corleone, quindi, nacque a nuova vita grazie a questa colonia di lombardi, che – come conferma lo storico medievalista francese Henri Bresc - proveniva dall’Oltrepò pavese, una zona a cavallo tra l’attuale Piemonte e la Lombardia. A testimonianza della presenza di questi antichi colonizzatori, ancora oggi a Corleone esiste la via Lombardia, nella parte alta della città, proprio a ridosso del Castello Soprano. Federico II - su questo la gran parte degli storici concordano - non diede in feudo Corleone ad Oddone de Camerana. Semplicemente consentì a lui e alla sua colonia di lombardi di ripopolarla, preferendo tenere la città nel demanio regio. Da allora, salvo brevi parentesi, Corleone fu sempre una delle 42 città demaniali della Sicilia, godendo dello stesso status di città ben più grandi e importanti, come Palermo, Catania e Messina. Le città demaniali, rispetto alle città feudali, potevano considerarsi “città libere”, alle quali era consentito di governarsi mediante un’assemblea composta dalle persone più importanti. La Corona riconosceva loro il diritto di proporre i nominativi per le cariche di pretore e di giurati, che duravano in carica un anno. Ogni città demaniale aveva le sue «Consuetudini», che costituivano una sorta di statuto scritto, alle quali era abbinato un regolamento attuativo, chiamato «Assise». Le “Assise e Consuetudini della terra di Corleone”, precedute da una introduzione storica corredata di documenti, a cura di Raffaele Starrabba e Luigi Tirrito, sono state edite a stampa nel 1880; una nuova recente edizione, curata dal prof. Giovanni Lisotta, è stata pubblicata nel 2010. Sono “segni” della particolarità della storia di Corleone, del suo spirito “libero”. Uno spirito “libero” che la nostra città ha più volte manifestato nei secoli. Il 3 aprile 1282, per esempio, dopo appena cinque giorni dallo scoppio della guerra del Vespro, Corleone fu la seconda città dopo Palermo ad insorgere contro gli Angioini. Fu Bonifacio de Camerana (nipote o pronipote di Oddone) a guidare i soldati corleonesi nella guerra contro i francesi. In segno di riconoscenza per l’aiuto datogli, il Senato palermitano conferì il titolo di “soror mea” alla nostra città, concedendole una serie di privilegi per gli anni a venire. Proprio questi antichi rapporti con Palermo, mantenutisi nei secoli, hanno permeato il dialetto corleonese di alcuni tratti tipici del dialetto palermitano, come il frequente dittongamento di “e” in “iè” e di “o” in “uò”. È questa particolare inflessione che, ancora oggi, rende il dialetto corleonese una sorta di “isola” tra i comuni del circondario. Tracce di questa storia gloriosa e dei suoni particolari del dialetto corleonese si trovano ancora oggi nei proverbi e nei modi di dire dei Corleonesi, riportati in questo libro dal caro Pino Governali. Ed è un motivo in più per esprimergli la nostra gratitudine.

Dino Paternostro

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