giovedì, settembre 29, 2016

IL TREDICESIMO GIORNO: INTERVISTA A FABIO CERAULO

di Elena ItalianoLo scrittore palermitano Fabio Ceraulo ci presenta in un’intervista il Suo romanzo “Il tredicesimo giorno”, da poco pubblicato nella collana Narrativa contemporanea di Milena edizioni.
  • Che cosa ti ha spinto, Fabio, a scrivere questo libro?
Il romanzo è nato per caso. Nel mio ultimo libro, dal titolo “Palermitando”, una raccolta di brevi racconti sulla città, c’era la testimonianza di chi, la sera del delitto Petrosino, udì gli spari e scese in piazza Marina a vedere cosa fosse successo. Da lì è nata l’idea che qualcuno potesse aver visto la scena e il racconto, da breve, si è andato allungando, prendendo pian piano la forma di un romanzo dove si mescolano realtà storica e fiction. In più, mi ha spinto il desiderio di impiantare il mio primo romanzo, in assoluto. Avevo altre idee ma questa si è rivelata quella con più spunti.
  • Chi è il tuo interlocutore ideale, se c’è?
Tutti coloro a cui piace leggere della vita di qualcuno. Il protagonista del libro parla in prima persona. E’ stata una scelta non semplice ma che ho fatto senza tornare sui miei passi proprio per dare l’idea di un racconto orale, che poi è quello che c’è nel libro. Io amo questo tipo di narrazione che mescola storia e vita vissuta, con un pizzico di nostalgia e tanta ironia.
  • Cosa pensi del coraggio e della pavidità?
Sono scelte o spinte incoercibili e, pertanto, indomabili, non influenzabili oppure il coraggio e la sua negazione possono essere suscitati, coltivati, indotti, canalizzati? Sono nato e vivo in una città, Palermo, in cui la parola coraggio spesso è stata, in un passato non tanto lontano, sinonimo di incoscienza e vocazione al martirio. Il fatto di essere coraggiosi o meno non è una scelta ma un modo di essere. Joe Petrosino ne era un esempio indiscutibile. Venne da solo, dall’America in un mondo che non conosceva affatto, pur essendo di origine italiana. E affrontò il suo destino con un coraggio impensabile, almeno per l’epoca in cui visse.
  • Si può educare alla legalità: il tuo testo si pone in questa direzione?
Certamente. Nel romanzo tutto parte da un episodio chiave ma è nell’ambito familiare che parte la consapevolezza della legalità. Ogni genitore, secondo me, dovrebbe educare i propri figli in tal senso. Io non ho voluto mandare nessun tipo di messaggio ma ritengo che sia così. Io stesso sono stato, fin da bambino, indirizzato verso certi valori che mi porto dentro in pratica da sempre.
  • Quali sono gli scrittori che ti hanno maggiormente influenzato?
Mi è sempre piaciuto lo stile di scrittura semplice e scorrevole. In questo senso reputo Emilio Salgari un fenomeno, quello che mi ispira di più. Mi piacciono molto Mario Vargas Llosa, Isabel Allende e Clara Sanchez.
  • E gli uomini che hanno maggiormente lasciato il loro segno?
Potrei citare qualche personaggio storico del passato che mi ha sempre affascinato. Restando però nelle vicinanze più “strette”, dico padre Pino Puglisi, il prete ucciso dalla mafia nel 1993. L’ho avuto come insegnante di religione al liceo per quattro anni. La sua semplicità, unita alla testardaggine, è un esempio che porterò sempre dentro di me.
  • Cosa vorresti da “Il tredicesimo giorno”?
Mi piacerebbe che fosse un romanzo di cui si parlasse non solo perché legato alla figura, seppur importante, di Joe Petrosino. Vorrei che diventasse un libro di cui si apprezza l’idea e la storia, in generale. Una narrazione nella quale ci si può ritrovare, sia nei valori espressi che nel racconto di una vita. Progetti in cantiere? Sto partecipando a un progetto per un libro fotografico relativo a Palermo, in cui curerò i testi e le didascalie. Poi ho un nuovo romanzo, quasi finito, legato alla vicenda di un patriota palermitano vissuto nell’ottocento. Uno di quelli che seppur definiti “eroi minori” ha lasciato un segno indelebile perché legato a un episodio chiave del risorgimento.
  • La persona che senti di ringraziare di più?
Relativamente a “Il tredicesimo giorno” ringrazio in particolare Raffaella Catalano, editor di una importante casa editrice, che mi ha spinto a costruire questa storia con suggerimenti e consigli preziosi. E poi suo marito, lo scrittore Giacomo Cacciatore, mio amico dai banchi di scuola, che per primo ha letto e apprezzato il romanzo quando ancora era solo un’idea e nient’altro.

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