martedì, luglio 19, 2016

Il ritorno di Bernardo Provenzano a Corleone

Bernardo Provenzano
ALFREDO MARSALA
Mafia. Tumulate ieri poco dopo l'alba le ceneri del boss. In un'atmosfera surreale, col cimitero assediato da polizia, carabinieri e guardia di finanza
Corleone sembra un paese sospeso. Fermo. Come un pugile all’angolo del ring, colpito al ventre sano dalle parole di Salvo Riina, figlio del capomafia, nell’intervista a Porta a porta, dalle polemiche per un ‘inchino’ della vara che c’è stato e non c’è stato ma che certamente non può essere metafora di una comunità intera, per la morte di Bernardo Provenzano, le cui ceneri, racchiuse nell’urna, sono state tumulate ieri poco dopo l’alba, in un’atmosfera surreale, col cimitero assediato da polizia, carabinieri e guardia di finanza. Episodi che segnano una specie di ritorno al passato, che per chi vive a Corleone non fanno altro che nascondere la realtà di una città sempre più in difficoltà. Dove manca il lavoro, dove da 16 mesi è emergenza rifiuti, dove i contadini abbandonano i campi, i giovani emigrano, dove le strade si aprono come il burro, dove i rubinetti nelle case a volte rimangono a secco d’acqua e dove gli scarcerati fanno ritorno. Dove quel che di positivo si fa sembra infrangersi nelle balbuzie omertose di qualche vecchio corleonese che a monosillabi risponde ai cacciatori di scoop, mentre chi lavora nelle terre confiscate alla mafia cerca di resistere. (Il Manifesto, 19.7.2016)

Corleone, la piazza del municipio
Corleone aspetta. Aspetta la politica, e soprattutto aspetta le istituzioni. Tre mesi fa gli ispettori del Viminale hanno concluso l’accesso agli atti nel comune guidato da Leoluchina Savona (centrodestra), dopo il sospetto di infiltrazioni mafiose. Fu il ministro degli Interni, Angelino Alfano, a dare la notizia dell’ispezione. Novanta giorni sono trascorsi da allora. Prefettura e questura hanno fanno il proprio dovere. Il dossier è stato trasmesso a Roma. Il tempo passa, ma il pronunciamento non arriva. E il comune rimane in un limbo pericoloso, col sindaco immerso nel cammino di Santiago di Compostela. “Nei cittadini avanza sempre più la sensazione che le istituzioni non hanno più la capacità di accompagnare lo sforzo di rinascita che ha consentito a Corleone di mostrare con i fatti il volto pulito”, dice Dino Paternostro, responsabile legalità della Cgil di Palermo.  “Vogliamo sapere se il comune è infiltrato dalla mafia o no e vogliamo saperlo subito”, aggiunge Cosimo Lo Sciuto, segretario della Camera del lavoro a Corleone. “La gente ha bisogno di certezze – afferma – La città è paralizzata. E mentre tutto è fermo accadono fatti, come la morte di Provenzano e le relative polemiche, che acuiscono il disagio della gente”. Anche Calogero Parisi, presidente della Coop ‘Lavoro e non solo’ che gestisce le terre confiscate alla mafia, coglie il riverbero “di una condizione di diffidenza” da parte dei cittadini. “Viviamo un periodo complicato – ragiona – C’è una sorta d’impotenza: da un lato il paese si porta addosso il fardello di terra di mafia, dall’altro si sente oggetto di attacchi mediatici a volte amplificati. La vicenda dell’ispezione al comune, con i risultati che non arrivano, rende il quadro più fosco”.
A ciò si aggiungono  fattori esterni, come “la crisi economica, la perdita d’identità nei partiti, la sottovalutazione da parte dello Stato di episodi come quello di Salvo Riina in Tv alla Rai”. “Prima si parlava della chiusura dell’ospedale ora di tagliare alcuni reparti e in piazza qualche anziano sussurra che prima le sorti della sanità in Sicilia si decidevano a Corleone”, chiosa Parisi. Le istituzioni, ecco. “Ci sforziamo a mantenere in piedi l’antimafia sociale, a recuperare la memoria di dirigenti sindacali assassinati dalla mafia come Placido Rizzotto, a creare le condizioni per una democrazia economica, ma manca in questo momento la sponda fondamentale delle istituzioni e della politica”, osserva Paternostro. In questo clima passa quasi in sordina la tumulazione di Provenzano.
L’urna con le ceneri del boss, che i figli Angelo e Francesco Paolo hanno portato sabato da Milano, è stata scortata di buon mattino fino al cimitero di Corleone. Con i due giovani e la madre, Saveria Benedetta Palazzolo, c’era un gruppo di parenti, una trentina di persone. Ma non è stato permesso alcun corteo, vietato dal questore Guido Longo. Il rito funebre è stato breve, officiato da padre Francesco Pio che ha letto una pagina del Vangelo di Giovanni: “Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me non lo respingerò”. Poi una riflessione: “Dobbiamo pregare il Signore perché aiuti chi sta sulla terra a fare la sua volontà”. Un’ora in tutto. Provenzano è stato tumulato nella tomba di famiglia nel cimitero che ospita altri mafiosi come Luciano Liggio e Michele Navarra, ma anche martiri della mafia , Placido Rizzotto. Fuori e fra i viali i poliziotti e i carabinieri, poco distante un blindato della finanza, con agenti in tenuta antisommossa. Sulla tomba è scritto “Famiglia Provenzano”, non c’è il nome del boss, né la foto.
Il Manifesto, 19 luglio 2016

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