sabato, gennaio 09, 2016

Quo Vado? Ecco la fenomenologia di Checco Zalone



Checco Zalone
di ARMANDO LOSTAGLIO
Il nuovo film del comico pugliese, uscito il 1 gennaio, sta battendo tutti i record di incasso. Presentato da Pietro Valsecchi, prodotto da Taodue film, distribuito da Medusa: un lancio straordinario di Capodanno 2016 che più non si poteva ambire al botteghino, con oltre mille copie in distribuzione. Code lunghe e proiezioni nelle multisale ogni mezzora. Checco Zalone: "Io non voglio fare analisi sociologiche sul nostro Paese, sul posto fisso, sul degrado, sul berlusconismo, su tutto quello che hanno scritto in questi giorni i giornali, voglio solo far ridere". Quo vado? lo abbiamo appena visto. File lunghissime di giovani, di genitori che accompagnano i figli neppure adolescenti. Uno spettacolo che ormai si ripete, almeno nel cinema italiano, soltanto con i film di Checco Zalone. Un talento puro che mette nella giusta ombra presunti comici alla Pieraccioni o Siani o Ficarra e Picone, Panariello e i vetusti “natalizi” De Sica e Boldi.

Pertanto, onde evitare di fare analisi ad un film volutamente comico, niente sciccheria e puzza sotto il naso o discriminazioni fine a se stesse, anche perché Zalone riderebbe di tutto questo: del resto gli incassi planetari gli danno ragione, mentre aiutano l’industria e l’economia cinematografica.
Tuttavia, Quo vado? rimane un bel film-tv, con una buona sceneggiatura e diligentemente diretto da Gennaro Nunziante (barese come Zalone, e suo regista dagli esordi), con qualche parolaccia di troppo strappa-risate “popolari”, che calzano nel suo personaggio. Pertanto, va detto che a Troisi o a Benigni o allo stesso Sordi (cui Zalone guarda come al suo mito) non scappavano parolacce per riempire quegli spazi vuoti di ritmica per strappare la risata “popolare”.
Eppure oggi Zalone è l’unico vero estro in circolazione, recita canta scrive e imita, con partiture che addirittura anticipano o sono specchio dei tempi: sa guardare con brillantezza alla contingenza; ha trattato con gusto finora di gay e causticamente di Lega, di terrorismo islamico ben prima che ci toccasse da vicino; ed oggi parla di lavoro e posto fisso da “prima repubblica” che “non si scorda mai” (come canta nel refrain del film, alludendo a Celentano), denunciando con una propria levità quella che i sociologi (e persino gli antropologi) definirebbero come un male endemico di una società malata di corruzione, di familismo amorale e quant’altro, che la memoria dal dopoguerra attribuiva alla raccomandazione di stampo inizialmente solo democristiano..
Ma Zalone è efficace (e qui il merito del film) quando sa trattare sardonicamente il “posto fisso” come quel male necessario di una Italietta (e un Sud) avvezza più al circolo vizioso del modus vivendi e “lascia correre” che invece al guardare lontano, ignorando che poi i guai li avrebbero pagati le nuove generazioni. Come è del resto accaduto.
Checco del film è un ragazzo che ha realizzato il sogno infantile della sua vita: vive con i genitori, (il mammismo alla base) rimane fidanzato e sarà poi amante perfetto, un tonto che sembra non affronti le responsabilità, riesce a ottenere un posto fisso nell’ufficio provinciale caccia e pesca, fino a quando il governo decreta il taglio delle Province. E lui si ostina, nonostante le pressioni di una lauta buonuscita in cambio delle dimissioni, a credere nel suo posto regalatogli (come era consuetudine) dall’onorevole di turno (l’ormai “rottamato” Lino Banfi, pugliese anche lui).
C’è dunque la sua Puglia nel film, come lo è l’ottimo Maurizio Micheli (nel ruolo del padre di Checco, pensionato statale pure lui) e le bellissime cittadine come Conversano. Ma c’è pure la Sardegna, la Calabria (con i luoghi comuni di ‘nduja e ‘ndrine) e la civilissima Norvegia. E c’è ecologia e fratellanza fra i popoli, cui Zalone sa guardare con una certa armonia narrativa. La sua maschera è il contorno necessario e subliminale di ogni battuta nella struttura del film che talvolta risente di qualche caduta cui va in soccorso la parolaccia.
Quando si dice cosa resterà di un film: ebbene, alcuni punti geniali ci sono eccome, come la “pugnetta” all’orso polare, o la spiegazione davvero efficace fra corruzione e concussione, la famiglia allargata e multietnica. Zalone recita se stesso, dal cabaret di Zelig fino al cinema che ne amplifica la portata, sebbene (lo ribadiamo) il cinema deve saper ambire all’oltre …
Armando Lostaglio
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