domenica, gennaio 04, 2015

Napolitano ci ha salutati ma chi andrà al Quirinale dopo di lui?




Giorgio Napolitano
di EUGENIO SCALFARI
I GIORNALISTI della carta stampata e delle televisioni continuano ad esaminare, interpretare e discutere del messaggio con il quale Giorgio Napolitano ha dato il suo addio alla carica che ricopre, agli italiani da lui rappresentati nella loro totalità e nella loro auspicabile responsabilità e alla classe politica che bene o male (più male che bene) li rappresenta. Il totale degli ascolti registrati da tutte le televisioni a reti unificate per l'occasione è stata di tredici milioni, il settanta per cento di share, una cifra alla quale, se si aggiungono coloro che non l'hanno seguito in diretta televisiva e l'hanno però recuperato sui giornali o attraverso la rete Internet si arriva a quote del cento per cento degli italiani dai 14 anni in su.
Sabino Cassese nel suo fondo di venerdì sul Corriere della Sera ha fatto il conteggio delle parole più usate nel saluto del Presidente della Repubblica, notando che sono state: unità, fiducia, nazione, doveri, Europa, responsabilità, lavoro, Mezzogiorno, rispetto verso gli altri e verso le istituzioni, corruzione, riforme. Le più ricorrenti di questo lungo campionario sono state fiducia, doveri, nazione. Quella non usata è stata diritti, ma, stando all'opinione di Cassese, era implicito nel testo del messaggio. Personalmente non credo che sia questa l'interpretazione esatta. La parola diritti solleva inevitabilmente contrasti, sia per mantenere quelli esistenti che spesso sono stati insidiati e in alcuni casi addirittura aboliti, sia per ottenerne altri che il mutamento d'epoca pone come indispensabili: in ogni caso sono fattori di nuove lotte che avrebbero comunque indebolito la reciproca fiducia e quindi l'unità nazionale che Napolitano ritiene a questo punto indispensabile.

Personalmente ho deciso di scrivere un ritratto politico e morale di Giorgio Napolitano due o tre giorni prima delle sue dimissioni che  -  ormai è certo  -  avverranno il 14 gennaio ma penso fin d'ora che, unitamente a Carlo Azeglio Ciampi, sia stato il solo a difendere le prerogative presidenziali che fanno del Capo dello Stato una figura costituzionale diversa da tutti gli altri Capi di Stato europei. Questa figura Napolitano vuole mantenerla. Vale la pena di capirne il perché.

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In tutta Europa (salvo che in Russia e nei suoi dintorni che Europa non sono) il Capo dello Stato non ha alcuna funzione e quindi nessuno dei suoi rappresentati ne conosce o ne ricorda il nome. Le sue prerogative sono puramente cerimoniali, come accade d'altronde dove esiste la monarchia.

Il monarca, anzi, conta sempre meno del presidente d'una Repubblica. Così il re di Spagna, quello del Belgio, la regina di Gran Bretagna. In Italia è diverso: le prerogative del Presidente non sono affatto limitate al cerimoniale; riguardano diritti sostanziali: a lui è riservato il diritto di grazia, la nomina dei senatori a vita, la nomina del presidente del Consiglio e su sua proposta dei membri del governo e dei sottosegretari, la firma dei decreti-legge prima che siano presentati in Parlamento, l'inviolabilità per ogni eventuale reato che non sia stato colto in flagranza dalle forze della sicurezza pubblica. Infine spetta a lui lo scioglimento delle Camere o di una sola di esse quando prima della loro regolare scadenza si trovino in condizioni di non funzionare quale che ne sia la ragione.

La spiegazione di queste prerogative sostanziali non ha bisogno di alcun chiarimento, la nostra è infatti una Repubblica nella quale il Capo dello Stato tutela la Costituzione e coordina una leale discussione tra gli altri poteri costituzionali. Se alcuni di quei poteri vogliono rafforzare la loro autorità diminuendo i poteri di controllo che la contrastano, il Capo dello Stato ha la funzione di impedire questo mutamento e le sue prerogative sostanziali servono appunto a svolgere questo compito. Questo non significa affatto che vi sia o vi debba essere una dialettica polemica tra il potere esecutivo rappresentato dal presidente del Consiglio e quello del Capo dello Stato. Al contrario, ci deve essere e di fatto nel caso specifico c'è una collaborazione e una stima reciproca tra la presidenza del Consiglio e quella della Repubblica, la quale tuttavia può incorrere nel freno che il Capo dello Stato può e deve svolgere quando un potere tende a soverchiare l'altro.

Questa differenza tra la nostra idea di Presidente e quello che è avvenuto nel corso degli anni della Prima Repubblica è notevole. Il mutamento avvenne in concomitanza ed a causa del rapimento di Aldo Moro e della sua uccisione da parte delle Brigate Rosse. Siamo nel 1978 e si forma da allora un passaggio fondamentale di cui sono protagonisti personaggi come Pertini, Scalfaro, Ciampi, Napolitano che assumono al vertice dello Stato una funzione durata fino ad oggi, cioè più di trent'anni, completamente diversa da quella che c'era stata nei trent'anni dall'approvazione della Carta costituzionale fino, appunto, l'uccisione di Moro. Dal 1947 (firma della Costituzione) fino al 1978 il Capo dello Stato non aveva alcun potere e alcuna prerogativa se non di tipo cerimoniale. Naturalmente la lettera della Costituzione era più o meno simile a quella attuale ma esisteva la cosiddetta Costituzione materiale che era la prassi invalsa e che dava al Capo dello Stato poteri minimi rispetto a quelli che il partito di maggioranza e cioè la Dc con i suoi alleati imponeva. Questa è la differenza tra ieri e oggi: i primi trent'anni il Capo dello Stato non conta quasi nulla, come in tutta Europa, nei secondi trenta i quattro nomi che abbiamo indicato tornano alla letteralità della Costituzione e di quella si fanno scudo e rappresentanti.

In Europa le cose stanno molto diversamente. L'abbiamo già accennato e debbo dire che il potere esecutivo ed il suo principale rappresentante che siede a Palazzo Chigi vorrebbe un cambiamento dello stesso tipo di quello vigente in Spagna, Germania, Belgio, Gran Bretagna ed altri. Tutto questo sarà messo alla prova durante le prossime e imminenti elezioni del nuovo inquilino del Quirinale.

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Renzi non ha la maggioranza assoluta del plenum parlamentare che voterà il nuovo Capo dello Stato. Alcuni membri dei partiti che non appartengono alla maggioranza voteranno per il nome scelto da Renzi, ma molti altri che appartengono invece alla maggioranza o allo stesso Pd voteranno probabilmente contro quel nome. Renzi queste cose le sa bene e quindi ne terrà conto nella tattica per arrivare ad una strategia che è quella da lui preferita. Ci sono varie possibilità nelle modalità con cui si sceglie il futuro successore di Napolitano: alcuni puntano su tecnici di vario tipo e di varie discipline alle quali il presidente del Consiglio è disposto a lasciare piena padronanza di quelle materie riservando al potere esecutivo la politica. È difficile pensare che un nome si imponga fin dalle primissime votazioni. Probabilmente ci sarà un periodo di assaggio ma non credo che sia lunghissimo a meno che non vi siano cessioni inevitabili dall'una parte e dall'altra. La soluzione mediana riguarda il livello dei tecnici che deve essere e sarà, se questa fosse la soluzione, molto elevato, riconosciuto non solo in patria ma anche a livello europeo e internazionale. Naturalmente i tecnici possono anche essere, e spesso lo sono, opportunisti nel senso che mettono la propria tecnica a disposizione di chi è più potente di loro e può dunque dare a quella loro capacità una sistemazione estremamente ambita. C'è poi un altro compromesso che è appunto quello di trovare tecnici non opportunisti. Non è facilissimo ma ce ne sono e su quelli bisognerebbe orientarsi. Poiché fare un elenco con alcuni nomi di opportunisti provocherebbe a chi lo fa una serie di sciagure giudiziarie del tipo querele per diffamazione o per calunnia bisogna seguir la via opposta: fare il nome dei più adatti e dei meno opportunisti. Ecco qualche nome in proposito: Pier Carlo Padoan, Renzo Piano, Riccardo Muti, Elena Cattaneo, Sabino Cassese, Gustavo Zagrebelsky, Umberto Eco.

Sono pochi e ce sono molti di più ma questi servono a dare un'indicazione di capacità e di livello che possa essere utile anche applicata a nomi equivalenti. Rappresentano varie branche della cultura, della scienza, della tecnica, dell'insegnamento, dello spettacolo e del diritto.

Più difficile è fornire il nome dei politici cioè di coloro che lasciano la tecnica a chi di dovere e si occupano del bene comune e della sua realizzazione. Questi nomi sono di molto minor numero perché la buona politica che si propone non già il potere per il potere, ma il potere per il bene comune, è assai limitata. Aristotele la mise in cima alle categorie dello spirito ma parlava in un'epoca che è molto diversa della nostra. Comunque ecco qualche nome che possa servire a utilizzare le persone qui indicate o altre di analogo livello e importanza: Romano Prodi, Walter Veltroni, Luigi Zanda, Piero Fassino, Pier Luigi Bersani. Anche qui ce ne sono altri ma non molti, ho già detto che la merce buona in politica è molto più rara e le scelte di qualità sono terribilmente difficili.

La Repubblica, 4 gennaio 2015

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