giovedì, gennaio 22, 2015

Il ritorno di Saveria, le pagine de L’Ora e il mistero del ’92



Il 5 aprile del ’92 la moglie di Provenzano si materializza a sorpresa a Corleone dopo vent’anni passati alla macchia a fianco del marito, il superlatitante Bernardo Provenzano. Il collaboratore Filippo Malvagna rivela di aver saputo da un carabiniere ”amico” che nel periodo tra le due stragi siciliane la donna si incontrava con un capitano dell’Arma. Una vicenda che oggi viene riletta nel quadro della trattativa Stato-mafia
Questa è la storia di una donna che torna a casa, nella sua casa di Corleone, dopo vent’anni passati alla macchia accanto al capo della mafia trattativista, alla vigilia delle stragi siciliane del ’92.
E’ la storia di Saveria Benedetta Palazzolo, ex camiciaia di Cinisi, il paese di don Tano Badalamenti, ma soprattutto moglie del boss Bernardo Provenzano, che il 5 aprile di quell’anno, il giorno delle ultime elezioni politiche della Prima Repubblica, si presenta alla stazione dei carabinieri del paesino tra le montagne del palermitano: “Sono la donna di Provenzano – dice – non ho conti aperti con la Giustizia. Voglio vivere a Corleone in santa pace”. La vicenda è raccontata in un articolo pubblicato l’11 aprile del ’92 dal quotidiano L’Ora, pochi giorni prima della chiusura definitiva di quel giornale: ”La donna del padrino – scrive il cronista de L’Ora – è protetta: le hanno dato una scorta. Gli investigatori hanno paura che questo ritorno significhi qualcosa di più. Temono che ai vertici di Cosa Nostra sia avvenuta una spaccatura insanabile”.
Perchè Provenzano spedisce la moglie e i due figli Angelo e Francesco Paolo in paese poco dopo l’omicidio Lima, il giorno dopo l’agguato mortale al maresciallo Giuliano Guazzelli e proprio alla vigilia della strage di Capaci? E’ l’interrogativo che oggi si pongono i pm che indagano sulla trattativa Stato-mafia, ipotizzando che quel ritorno a sorpresa della donna e della famiglia del boss nella casa di Corleone possa essere legato al dialogo tra pezzi di Cosa nostra e gli apparati dello Stato. Due mesi dopo, nel giugno ’92, il capitano del Ros Giuseppe De Donno aggancia Massimo Ciancimino per avviare i colloqui con suo padre, alter ego di Provenzano. Sono gli incontri ai quali parteciperà, qualche giorno dopo, anche il generale del Ros Mario Mori che, secondo la ricostruzione dei pm, farà partire da quel momento la trattativa con don Vito Ciancimino che parla per conto dello stesso Binnu, il famigerato ”ingegner Lo Verde”.
Il rientro di Saveria Palazzolo può essere letto come il prologo dell’interlocuzione tra mafia e Stato? E’ possibile che il dialogo tra Provenzano e gli apparati fosse cominciato subito dopo l’omicidio Lima? E cosa succede dopo il rientro di Saveria a Corleone? La risposta probabilmente la fornisce il pentito Filippo Malvagna, boss catanese ritenuto dagli inquirenti ”altamente attendibile”. Due anni dopo le stragi siciliane, nel’ 94, Malvagna racconta: “Tra la bomba di Capaci e quella di via D’Amelio, si avvicinò il carabiniere Cosimo Bonaccorso, che era sul libro paga sia di Cosa nostra palermitana che di quella catanese, per consegnarmi un biglietto dove c’era scritto che da lì a poco ci sarebbe stato un incontro tra la moglie di Bernardo Provenzano, Saveria Benedetta Palazzolo, e un capitano dei carabinieri, per un’eventuale collaborazione, in una località di campagna”. Malvagna dice di aver portato quel biglietto a Catania, di essere stato convocato dal Gotha di Cosa nostra etnea che dopo aver letto il contenuto dell’appunto, lo congedò con l’ordine di dimenticare tutta la vicenda: ”Questa storia muore qui”. I boss catanesi, in pratica, erano stati informati in diretta da un carabiniere amico che la moglie di Provenzano si incontrava con uomini dell’Arma negli stessi mesi in cui don Vito parlava con l’allora colonnello Mori e l’allora capitano De Donno. Ecco perchè anni dopo, il pentito Nino Giuffrè racconterà che ”da Catania arrivava la voce che Provenzano fosse sbirro”. Giuffrè, tra l’altro, aveva parlato di un avvio di collaborazione tra Provenzano e i carabinieri, sempre proprio attraverso la moglie del capomafia.
Malvagna fa le sue dichiarazioni nel ’94, ma nessun inquirente ordina un approfondimento di indagine su quel biglietto e sugli incontri tra la compagna di Provenzano e il carabiniere. Bisognerà aspettare altri vent’anni, quando nel 2014 il collaboratore ripeterà il suo racconto nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Ora gli inquirenti non possono non interrogarsi sulla possibile esistenza di un nesso tra quel rientro di Saveria Palazzolo a Corleone e l’avvio dell’interlocuzione tra i boss e le istituzioni.
Ma non è tutto. Un dato altrettanto interessante riguarda le intuizioni profetiche degli investigatori in quella primavera del ’92:  come si legge nell’articolo de L’Ora dell’11 aprile di quell’anno, qualcuno sospettava già all’epoca ”una spaccatura insanabile ai vertici di Cosa nostra”. Prima ancora delle stragi, come mai si ipotizzava già quella rottura tra Riina e Provenzano che nove mesi dopo avrebbe portato alla cattura di Totò u curtu? In realtà, qualche mese dopo, subito dopo Capaci e via D’Amelio, rileggendo il rientro di Saveria Palazzolo a Corleone, gli investigatori ritennero addirittura che Provenzano potesse essere morto: ed è per questo che Binnu non figura tra i mandanti dell’omicidio Lima, nel processo aperto a Palermo nel ’94. Ma Binnu in quei giorni era vivo e attivo più che mai: e muovendosi dietro le quinte delle stragi, lavorava al nuovo patto tra Stato e mafia.
L’Ora quotidiano, 19 gennaio 2015

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