lunedì, dicembre 08, 2014

Varie sfumature di rosso: gioco delle parti nel PD?


di Agostino Spataro
La crisi del leaderismo
L’incisione del “bubbone romano”, oltre a fare emergere un groviglio torbido d’interessi affaristici, criminali, associazionistici e, purtroppo, anche politici, offre una nuova chiave di lettura della crisi della politica italiana. Appare sempre più chiaro che in questione ci sono questo sistema bipolare raffazzonato, il modello politico che continua ad avvitarsi su se stesso, allontanandosi, progressivamente, dai cittadini, dalle istanze, dalle pulsioni più vive della società. Così perdurando la situazione potrebbe divenire ingovernabile.
In particolare, sta emergendo un dato raramente colto ed evidenziato: la crisi del leaderismo che è l’anticamera dell’autoritarismo.
Soprattutto in Italia, tale modello è frutto di concezioni e pratiche elitarie e cialtronesche, contrastanti con lo spirito della vigente Costituzione e con la tradizione politica ed elettorale.
E poi, davvero, si possono affidare le sorti di un paese, di una delle economie più importanti del pianeta a un “sol uomo” che, per altro, detiene anche il potere di nominare il Parlamento e gli organi amministrativi e di controllo?
Non so a voi, ma a me sembra una pericolosa “stravaganza”.
Tutto ciò ed altro provocano un disagio sociale diffuso, in gran parte motivato, al fondo del quale si agita come un grumo d’insofferenza e di protesta, di ribellismo ondivago che potrebbe essere usato per disegni di predominio, anche destabilizzanti.
Fra crisi economica e caos politico siamo giunti a una situazione - limite che reclama una svolta radicale per ristabilire il buongoverno, la  legalità e restaurare l’autorità dello Stato democratico e dei suoi organi amministrativi sulla base di politiche d’inclusione sociale e non di emarginazione, come sta avvenendo.

2… Riformare la politica e re-introdurre le preferenze
Pessimismo? Per verificare andiamo a vedere cosa sta succedendo all’interno delle tre principali rappresentanze parlamentari.
Inizio con il movimento di Grillo, che tante speranze aveva acceso negli spiriti semplici, il quale sembra voler esorcizzare la crisi espellendo il dissenso e ammutinando il consenso; seguono il partito di Berlusconi che non riesce a bloccare l’emorragia di voti e d’iscritti e stenta a ritrovare un ruolo primario e quello di Renzi che vince alle europee, conquista nuove regioni, ma perde (in valori assoluti) fette cospicue del suo elettorato (Emilia), si spacca in Parlamento e cala vistosamente nei sondaggi. Vittoria! Dov’è la vittoria?
In questa fase, per il PD è facile vincere la “guerra” contro avversari piuttosto malmessi, ma può perdere il dopoguerra.
La condizione generale del Paese, infatti, continua a degradare, con particolare accanimento nelle regioni del Sud (che ancora esiste!), senza che s’intravveda una luce in fondo al tunnel.
A destra e a sinistra si brancola dentro un mondo avvolto nelle tenebre del malaffare e della malapolitica dove ogni ombra che si muove controcorrente è percepita come nemica.
Ancora una volta, la politica, l’informazione, compresi quei, vacui chiacchiericci lottizzati dei salotti televisivi, arrivano dopo i provvedimenti della magistratura.
Per tamponare la falla non per attuare una riforma profonda del sistema politico e della legislazione elettorale per reintrodurre il voto di preferenza (anche per i capilista) e restituire ai cittadini il diritto (ribadito, con sentenza, dalla Corte costituzionale) di potere scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.

3…A sinistra si odono soltanto vacui clamori…
Il caso del PD è certamente il più controverso, ma non il più tragico. Si ha, infatti, la sensazione che al vertice di tale partito si stia svolgendo una sorta di “gioco” delle parti secondo un copione dettato dalla contingenza e dalla necessità di tenere unito questo grande contenitore elettorale che minaccia di franare, di andare in cocci.
C’è molta agitazione senza conseguenze apprezzabili. Si odono soltanto vacui clamori che paiono funzionali alla necessità di “coprire” politicamente, trattenendole, aree di elettorato, soprattutto di sinistra, che minacciano di abbandonare il carro di Renzi.
L’astensionismo nelle recenti regionali emiliane è un pericoloso campanello d’allarme, forse l’ultimo avviso ai naviganti a cambiare rotta se vogliono evitare l’annunciata tempesta.
Il vero assillo del PD è quello di mantenere unito il suo bacino elettorale. Ma come fare?   
Semplice: trasformandolo in una forza pigliatutto (addirittura in “partito-nazione!), flessibile,  interclassista e contraddittoria più della defunta DC; in partito di governo e di lotta, ma non troppo (di lotta), solo quanto basta per tenere buono l’insofferente elettorato, almeno fino alle prossime elezioni, anticipate o meno.  
Questa è la percezione che molti si son fatti delle rituali distinzioni, astensioni, uscite dall’Aula, voti contrari, di certe dichiarazioni di fuoco, degli scioperi generali convocati fuori tempo massimo ossia quando la materia del contendere (modifica dell’art. 18) è diventata legge.
Insomma, varie sfumature di rosso per ravvivare il ruolo delle parti in gioco, per stemperare il dissenso, le tensioni, per tenere accesa la speranza (illusoria) di un cambiamento nel senso del progresso e dell’equità sociale.
                                   
(5 dicembre 2014)

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