sabato, febbraio 15, 2014

La Caccamo che cambia. Da nipote di un mafioso a “traditore”. La guerra al pizzo di Giorgio Scimeca

Giorgio Scimeca
Giorgio Scimeca ha conosciuto la mafia in prima persona otto anni fa. Prima di allora, ne aveva percepito solo gli effetti: i morti ammazzati, i locali bruciati, la paura della gente. Nel '92 sua madre aveva portato lui e il fratello sia ai funerali di Falcone che di Borsellino: una sorta d'iniziazione all'antimafia
“Mia mamma ha la quinta elementare ma sa distinguere gli uomini di valore”, ricorda. La signora considera i due magistrati un modello da seguire: le hanno insegnato a non sopportare la violenza mafiosa, nemmeno se a esercitarla è il fratello di suo marito, un uomo d'onore secondo i boss di Palermo. Uno che grazie alle sue amicizie è diventato ricco. Quando quella violenza investe suo figlio, non si dà pace. Poi un giorno legge che a Palermo sta nascendo Addiopizzo, un movimento che vuole stroncare il racket delle estorsioni sostenendo i commercianti che dicono no alla mafia. La colpisce il motto: "Un popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità".  (GUARDA L'ALBUM FOTOGRAFICO)

“Se mio zio ha i suoi amici, io ho i miei: i ragazzi di Addiopizzo  dice . Sono stato il primo commerciante in Italia ad aderire alla loro associazione. La forza di denunciare m'è arrivata da mia madre e dal ricordo di Paolo Borsellino, il mio idolo assoluto. Ma riesci a immaginare cosa avrebbe potuto fare uno come lui con il consenso dei ragazzi di Addiopizzo? A quest'ora avrebbe già sconfitto Cosa Nostra”. Una volta entrato nel movimento antimafia, Scimeca è riuscito a parlare con Manfredi, il figlio del magistrato. “Per me è stato un incontro importante. Mi ha raccontato che negli ultimi giorni suo padre era diventato improvvisamente più duro. Voleva rendersi antipatico perché tanto sapeva che i suoi figli avrebbero dovuto fare a meno di lui”. Lo Stato sapeva e non ha fatto niente, continua Scimeca. Lo ha lasciato isolato, senza nessuna protezione, perché ha avuto il coraggio di opporsi alla mafia. Com'è successo a Scimeca nel 2004, prima che conoscesseAddiopizzo.
In quegli anni, Scimeca possiede l'unico pub con sala giochi di Caccamo, a 40 chilometri dal capoluogo siciliano. Un giorno entra nel locale uno di quei tizi che a Caccamo conoscono tutti: pericoloso e poco raccomandabile. Chiede in prestito poche centinaia di euro, per un affare importante. “Non so se è colpa della paura o di altro, fatto sta che l'ho pagato”. Così Scimeca diventa vittima della mafia. I "prestiti" diventano "pizzo", una tangente regolare. L'estorsore pretende l'auto per trasportare droga, lo obbliga ad acquistare merce contraffatta e a nasconderne altra rubata. È tra la primavera e l'estate del 2004 che Scimeca decide che non può andare avanti così. Allora smette di pagare e di offrire il suo aiuto. Passano mesi e l'estorsore scompare dal locale. Torna verso la fine dell'anno, con una notizia allarmante: “Mi racconta che a Palermo ci sono persone di un certo spessore a cui do fastidio. 'Siccome ti voglio bene – aggiunge – ho anticipato 400 euro, ma devi ritornarmeli'”. Scimeca prende tempo, ma sa che non può più sfuggire, deve affrontare la mafia. La sera stessa decide di chiamare la polizia per mettere sotto controllo il suo telefono.
Fissa un incontro a gennaio 2005, un sabato pomeriggio alle 18. “Una parte di me sperava che il mio estorsore non arrivasse. Un'altra voleva punire quel pezzo di merda ed evitare che altri si trovassero nella mia stessa posizione”. Alla fine l'uomo si presenta, Scimeca gli consegna i 400 euro e la polizia irrompe. La voce si sparge: Giorgio Scimeca è un nemico che sta con lo Stato. Una scelta che Scimeca paga con la solitudine. Nessuno frequenta il suo locale, così inizia ad accumulare debiti fino ad arrivare alla soglia del fallimento. È allora che sua madre contatta Addiopizzo. Una decina di volontari arrivano da Palermo per ascoltare la storia di Scimeca. Hanno poco più di vent'anni e il sogno di costruire un'associazione per promuovere il consumo nei negozi che non pagano il racket. Fanno ogni settimana ottanta chilometri per venire nel suo pub, solo per stargli accanto e tenere in vita il locale. Dopo mesi ha accesso al fondo antiracket ed apre un bar-pasticceria a conduzione familiare, oggi parte delle rete del consumo critico di Addiopizzo. “La sala giochi, però, non l'ho chiusa – aggiunge –. Non mi interessa anche se non faccio incassi: quello è un simbolo e deve continuare ad esistere”.
Questa storia Giorgio Scimeca non smette mai di raccontarla: ai ragazzi delle scuole del Nord Italia, ai turisti in visita con i tour di Addiopizzo Travel. “Faccio conoscere agli studenti gli imprenditori che si sono ribellati. Perché qualcuno, nonostante tutto, cerca sempre di lavorare onestamente”.
Affariitaliani.it, mercoledì, 18 luglio 2012


Nessun commento: