lunedì, gennaio 20, 2014

Le parole di Riina per Di Matteo: "Mazzata nelle corna, fine del tonno"

Il boss mafioso Totò Riina
"Facciamola grossa e non ne parlamo più", "Ci vuole una mazzata nelle corna": depositata parte delle intercettazioni del capo dei capi di Cosa nostra con il boss della Sacra corona unita Alberto Lo Russo in cui il capomafia minaccia Di Matteo, che rappresenta l'accusa nel processo per la trattativa tra Stato e mafia che vede tra gli imputati proprio il boss corleonese" "Ma perché questa popolazione non vuole ammazzare nessun magistrato?". I boss a conoscenza di notizie riservate
Il boss Totò Riina "E allora organizziamola questa cosa! Facciamola grossa e non ne parliamo più". Sono le 9.30 del 16 novembre 2013 e il boss mafioso Totò Riina parla con il boss della Sacra Corona Unita Alberto Lo Russo durante l'ora della cosiddetta 'socialita' nel carcere milanese di Opera. I due parlano del pm antimafia Antonino Di Matteo, che rappresenta l'accusa nel processo per la trattativa tra Stato e mafia che vede tra gli imputati proprio il boss corleonese. Mentre Riina dice "organizziamola questa cosa", tira fuori la mano dal cappotto e gesticolando mima il gesto di fare in fretta, come scrivono gli uomini nella Dia nella parte delle intercettazioni depositate questo pomeriggio dai pm nel processo per la trattativa.


Riina dimostra di non avere paura di Di Matteo: "Vedi, vedi - dice - si mette là davamti, mi guarda con gli occhi puntati ma a me non mi intimorisce...". Poi sul progetto di attentato: "Questo Di Matteo non se ne va, gli hanno rinforzato la scorta e allora, se fosse possibile, ad ucciderlo... Una esecuzione come eravamo a quel tempo a Palermo con i militari". "Ti farei diventare il primo tonno, il tonno buono", continua Riina con Lorusso. "Questo pubblico ministero di questo processo che mi sta facendo uscire pazzo".

Riina nei dialoghi intercettati nel carcere di Opera con il boss Lo Russo è incontenibile: "Se io restavo fuori, io continuavo a fare un macello, continuavo, al massimo livello. Ormai c'era l'ingranaggio, questo sistema e basta. Minchia, eravamo tutti, tutti mafiosi". Ma Riina, aggiornato in tempo (quasi reale) da Lorusso, apprende della richiesta di testimonianza del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, al processo sulla trattativa. Lorusso lo informa che le tv rilanciano le dichiarazioni del vice presidente del Csm (Vietti) e di altri politici che ritengono che il capo dello Stato non debba testimoniare. Riina approva: "fanno bene, fanno bene... ci danno una mazzata... ci vuole una mazzata nelle corna... a questo pubblico ministero di Palermo". Al che Lorusso dice: "sono tutti con Napolitano dice che non ci deve andare. Lui è il presidente della Repubblica e non ci deve andare". Riina afferma: "Io penso che qualcosa si è rotto..."

E poi i primi (cronologicamente) riferimenti riconducibili al pm Nino Di Matteo: "Di più per questo, per questo signore che era a Caltanissetta, questo che non sa che cosa deve fare prima. E' un disgraziato... minchia è intrigante, minchia, questo vorrebbe mettere a tutti, a tutti, vorrebbe mettere mani... ci mette la parola in bocca a tutti, ma non prende niente, non prende...".

In Procura cresce la preoccupazione perché i boss sarebbero a conoscenza di notizie mai pubblicate: il 14 novembre scorso gli inquirenti trascrivono l'ennesima intercettazione captata nel cortile di Opera. Quando la notizia delle minacce di Riina al pm Di Matteo era finita sui giornali, i magistrati decisero di presentarsi in massa in Tribunale per manifestare ai pm del processo per la trattativa tra Stato e mafia la loro solidarietà. Ma la decisione non era stata ancora ufficializzata nè era finita sui giornali o in tv e se n'era parlato soltanto via mail tra pm e poche persone. Così è Lorusso ad avvisare il 14 novembre scorso Riina: "...hanno detto che alla prossima udienza ci saranno tutti i pubblici ministeri all'udienza... saranno presenti tutti". E Riina annuisce: "Ah tutti". Una notizia circolata solo sulla mailing list interna al Palazzo di giustizia.

"Mi viene una rabbia - continua Riina - ma perchè questa popolazione non vuole ammazzare a nessun magistrato? A tutti... ammazzarli, proprio andarci armati e vedere...". Si ingalluzziscono , proprio si ingalluzziscono... perchè c'è la popolazione che li difende, che li aiuta. Quelli però che devono andare a fare la propaganda là, sono quelli che devono andare a fare la propaganda. Hanno lo scopo in testa per uno strumentìo (strumentalizzazione ndr) completamente e le persone sono con loro...".

"Quelli si meritavano questo e altro - continua Riina - questo è niente quello che gli feci io! Gli ho fatto, però meritavano. Se ci fosse stato qualche altro avrebbe continuato e non hanno continuato e non hanno intenzione di continuare, nessuno". E il boss corleonese, sempre il 30 ottobre, rivendica le sue gesta e sembra che nessuno in Cosa nostra riesca a seguire le sue orme. Tanto che Lorusso dice: "E così subiscono sempre, così subiscono, subiscono, subiscono e continueranno a subire"

Nei dialoghi con Lo Russo c'è anche un accenno alla strage Chinnici: "Quello là salutava e se ne saliva nei palazzi. Ma che disgraziato sei, saluti e te ne sali nei palazzi. Minchia e poi è sceso, disgraziato, il procuratore generale di Palermo". Chinnici fu ucciso da un'autobomba il 29 luglio del 1983.

Il capomafia si dice deluso da quello che è ritenuto l'attuale capo di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro: "A me dispiace dirlo, questo signor Messina Denaro, questo che fa il latitante, questo si sente di comandare, ma non si interessa di noi. Questo fa i pali della luce - aggiunge riferendosi al business dell'energia eolica in cui Messina Denaro è coinvolto - ci farebbe più figura se se la mettesse in c... la luce".


La Repubblica, 20.1.14

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