sabato, giugno 22, 2013

Dal latifondo la mafia cava oro

Mario Francese
Mario Francese scrisse per il Giornale di Sicilia una serie di articoli sui lavori per più di mille miliardi di lire nella zona del Belice che suscitarono gli appetiti della mafia. Ecco un pezzo pubblicato il 4 settembre del 1977
di MARIO FRANCESE
La diga di Garcia, interamente finanziata dalla Cassa per il Mezzogiorno su progetto del consorzio di bonifica dell'alto e medio Belice, a che cosa servirà? E perché attorno alla diga si è creato un deserto di mafia, in cui oscuri interessi hanno scatenato contrasti, appetiti e una corsa quasi piratesca per l'aggiudicazione degli appalti di opere che dovranno convogliare le acque del serbatoio di Garcia verso Trapani ed Agrigento? Il direttore del consorzio di Bonifica dell'alto e medio Belice dottor Mirto mi ha anticipato, pochi giorni prima della soppressione a Ficuzza del colonnello Giuseppe Russo, che i consorzi dell'alto e medio Belice, Delia - Nivolelli e basso Belice - Carboy hanno già presentato alla Cassa del Mezzogiorno il progetto di massima per l'irrigazione di 21 mila ettari di terreno, ricadente nei tre consorzi (trapanese e agrigentino).
Il costo delle opere di convogliamento dell'acqua, dalla diga (tubazioni principali) fino alle bocche di utenza, è previsto in 110 miliardi. Il progetto è in fase di approvazione e molte sono le imprese, tra cui la Saiseb di Roma (di cui il colonnello Russo era diventato consulente) che aspirano ad eseguire le opere.

Lo stesso dottor Mirto ha riferito che altri 7 milioni di metri cubi di acqua della diga Garcia saranno destinati ad uso potabile «a servizio - dice - di alcuni comuni del trapanese, secondo le previsioni del piano generale delle acque». Ed anche per gli impianti (tubazioni principali) di trasferimento di quest'altra imponente massa d'acqua è stato presentato alla Cassa del Mezzogiorno un altro progetto che prevede una spesa aggirantesi (con i prezzi di inizio 1977) tra i 60 e i 70 miliardi. «Il costo dell'invaso di Garcia - precisa il dottor Mirto - tra espropriazioni, lavori, spese generali e Iva, al momento è di 47 miliardi, interamente finanziati dalla Cassa del Mezzogiorno. Ma le opere pubbliche previste nello schema "Garcia" comprendono - ha aggiunto - oltre lo sbarramento per la creazione del serbatoio, la condotta di adduzione e la rete di distribuzione irrigua, anche lavori di sistemazione idraulica e forestale, a difesa dell'invaso, viabilità di bonifica, reti drenanti ed altre opere di conservazione del suolo». Non va dimenticato che la diga sta sorgendo in una zona fortemente sismica e già duramente colpita nel 1968 dal terremoto. «L'ammontare globale degli investimenti pubblici - conclude Mirto - può valutarsi in circa 140 miliardi, oltre naturalmente i circa 110 miliardi per il convogliamento di acqua nei tre consorzi che ne hanno fatto richiesta e la settantina di miliardi occorrenti per fornire a Trapani acqua potabile».
Somme imponenti, quindi, per l'esecuzione dello schema "diga - Garcia" che dovrebbe realizzarsi nell'arco di un decennio. Dalla contrada Gammari, quartiere residenziale di don Peppino Garda, si domina la suggestiva vallata di oltre 900 ettari di terreno, fiorenti vigneti in gran parte, che farà da letto alla enorme diga. «Una diga immensa - dice un piccolo contadino, privilegiato dalla riforma agraria - che però ci lascia perplessi. Io qui ho avuto qualche ettaro di terra dalla riforma e l'ho coltivata a vigneto. Ma le nostre vigne, senza acqua, producono meno di un terzo. Ci vuole acqua nelle stagioni calde e ritengo che, a noi piccoli proprietari, come ai grossi la diga non porterà nessun beneficio. Potremo ammirare l'immensa distesa di acqua del più grande serbatoio del palermitano. Ma per quel che si sente dire con una certa insistenza, di quest'acqua noi non ne usufruiremo se è vero, come pare dai progetti del Consorzio del medio ed alto Belice, che la diga dovrà servire zone del trapanese ed in parte dell'agrigentino, i cui consorzi hanno già presentato alla Cassa progetti per 110 miliardi per il convogliamento di immense masse d'acqua nei loro territori».

Allarmante il giudizio del piccolo assegnatario della riforma agraria, un coltivatore diretto di Pioppo che, per fare fronte alla siccità estiva, ha ricavato in un imbuto del suo terreno un piccolo laghetto dal quale attinge l'acqua per irrigare, nei mesi caldi, col sistema a pioggia, la sua salma di vigneto. Un sistema, quello dei laghetti artificiali, molto sfruttato nella zona tra Roccamena e Corleone e fino ai confini di Trapani e Agrigento. Don Peppino Garda, per fronteggiare la penuria d'acqua nei mesi estivi, dovuta al prosciugamento del Belice, ha costruito per i suoi vigneti tre laghetti artificiali. Molti i coltivatori della zona che lo hanno imitato. Senza queste provvide, anche se rudimentali iniziative, centinaia di ettari di vigneti rimarrebbero in estate al secco e improduttivi. «Al sistema dei laghetti artificiali - dicono i fratelli Marino, proprietari di vaste distese di terreno all'imbocco di Ficuzza - stiamo ricorrendo anche noi. Ne abbiamo in costruzione uno, dal momento che nessuno si preoccupa seriamente dell'agricoltura e lo Stato lascia disperdere le immense riserve d'acqua delle nostre sorgive montane che, nei mesi invernali, sono veramente imponenti».

Dunque, il retroterra di Palermo, noto per le sue incommensurabili risorse idriche, si appresta a specchiarsi nel gran lago della diga Garcia e ad indispettirsi per il grosso furto delle sue inesauribili fonti idriche (Rocca Busambra, Piano Giumenta, etc.) che verranno convogliate nel serbatoio di Garcia per finire, poi, nel trapanese e nell'agrigentino. E mentre i paesi sottostanti a Piano Giumenta come Corleone, Campofiorito e Bisacquino soffrono l'arsura (terreni e cittadini), la loro acqua emigra quasi beffandoli verso altre zone che, poi, per essere state per prima colonizzate dagli arabi, sono tra le più fiorenti della Sicilia occidentale. Fa quasi rabbia sapere che gli abitanti di Campofiorito, per fare un esempio, nei mesi invernali, hanno il terrore delle piene dell'acqua che, dalle sue inesauribili sorgive montane e dal Piano Giumenta, sfociano a valle impetuose travolgendo ogni ostacolo, spazzando strade e muri, allagando persino il paese. Un paese immerso nell'acqua e che muore di sete.
E allora a che è servita la costruzione della diga? Eccoci quindi all'ipotesi del gran deserto della mafia che, anche dalle zolle una volta aride, ha saputo cavarci "oro". Tre organizzazioni mafiose, (Palermo, Trapani e Agrigento) alla conquista del gran deserto di Garcia e che per la sfrenata corsa ai nuovi e redditizi appalti hanno rotto tradizionali equilibri. In questo "deserto" si è registrato il sequestro Corleo, si sono abbattute le prime scariche di cal. 38 e di lupara su ben otto persone e, infine , a Ficuzza, è stato trucidato spietatamente il colonnello dei carabinieri Russo, il quale forse riteneva di poter affrontare con la caparbia che lo aveva distinto al nucleo investigativo di Palermo il nuovo compito di consulente della Saiseb, un'impresa impegnata nel "deserto di Garcia" e quindi anche nella corsa agli appalti per le opere di bonifica attorno alla grande diga.



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