di Francesco Inguanti -
Palermo si prepara alla beatificazione di don Pino Puglisi che avverrà sabato 25 alle ore 10,30 al Foro Italico forse con più trepidazione dell’ottobre del 2010, quando giunse a Palermo Benedetto XVI. La ben collaudata macchina organizzativa di allora si è rimessa velocemente in moto quando è apparso chiaro che le preoccupazioni iniziali, che facevano ritenere di non riuscire a riempire lo stadio Lorenzo Barbera, hanno fatto posto alla ben più bella soddisfazione di una previsione di pellegrini di maggiori dimensioni. “Navighiamo ormai verso quota 100.000” fanno sapere dalla Curia palermitana, in un misto di mal celata preoccupazione e visibile gioia. Le iniziative già svolte e da svolgere per prepararsi all’evento ormai non si contano più. A quelle rinvenibili sul sito ufficiale della Diocesi vanno aggiunte quelle spontanee, nate nelle parrocchie e tra i movimenti.

Brancaccio torna ad essere sotto i riflettori. Il quartiere vive la vita di sempre tra degrado e indifferenza. Stesse macchine parcheggiate sui marciapiedi, stessa immondizia da raccogliere, poco viavai di clienti nei negozi. Il disinteresse sembra prevalere.
Ma appena nomini don Pino il clima cambia. Don Pino è vivo e presente non solo nei ricordi, ancora molto vivi, ma soprattutto nel patrimonio di testimonianza cristiana e solidarietà umana che ha lasciato. Come dire: pensatela come volete, ma non toccate don Pino.
Don Maurizio Francoforte è l’attuale responsabile della parrocchia di San Gaetano. Giunto a Brancaccio 5 anni fa, dopo una qualificata “gavetta” di due anni allo Zen, col compianto padre Galizzi e di 4 anni al quartiere Zisa, dall’ottobre del 2008 ha raccolto il testimone di don Pino e lo porta avanti con lo stesso stile e la stessa dedizione. Blue jeans e maglietta, croce al colletto, corporatura minuta, utilitaria da rottamare, sembra una sorta di reincarnazione di don Puglisi.
“E allora don Maurizio, cosa è cambiato in questi vent’anni!”?
“Per vedere il cambiamento della fede sono necessari occhiali speciali – ci dice -. Il vero cambiamento è quello operato dallo Spirito nel cuore degli uomini. Noi umani ne vediamo le conseguenze e non sempre ci riusciamo. Ma nel cuore dell’uomo può vedere solo Dio, ed io attraverso il mio ministero sacerdotale a Brancaccio posso testimoniarlo”.
“Ma in apparenza il quartiere è sempre lo stesso”.
“Neanche questo è vero. La scuola media per cui si batté Puglisi e le sezioni staccate di due istituti superiori (che da sole occupano 1.400 studenti) consentono a tantissimi giovani di non dover andare ogni mattina al centro di Palermo per studiare. Certo c’è ancora disoccupazione e mafia, ma queste non si sconfiggono una volta per sempre e men che mai con i tempi brevi”.
“E allora che fare”?
“Continuare con serenità e pazienza l’opera educativa di don Pino – ci spiega – . Aiutare soprattutto i giovani a stare in piedi di fronte alle difficoltà della vita, costruendo esperienze di solidarietà concrete ed efficaci partendo dal contesto parrocchiale e avendo come orizzonte i bisogni dei 10.000 abitanti di Brancaccio”.
La risposta lascia ancora margini di scetticismo ed allora si alza e tira fuori il progetto di ciò che Puglisi aveva pensato in concreto per il quartiere: una nuova e più grande parrocchia al centro di una grande area verde ove disporre spazi e strutture di accoglienza e di servizi.
“Questo progetto – ci illustra – fu commissionato da don Puglisi secondo i criteri da lui stesso indicati. Al centro la Chiesa, perché sia visibile subito l’origine del nostro impegno e attorno opportunità per tutti: dagli anziani, che oggi non hanno nemmeno un luogo per giocare a carte, alle mamme, che non sanno dove portare i bimbi in carrozzina, dai ragazzi, per smettere di giocare al pallone per strada o nei cortili dei palazzi, ai giovani, che vogliono fare sport, spettacolo o cultura. Opportunità offerte a tutte che nascono dentro i criteri di evangelizzazione e pastorale che don Puglisi ha saputo mettere in atto, prima a Godrano e poi a Brancaccio”.
“Ma per fare tutto ciò ci vorrà del tempo. E nel frattempo?”
“Nel frattempo faremo come faceva don Pino: costruiremo rapporti di solidarietà e amicizia con tutti e chiederemo aiuto a tutti. Ricordo che quando don Pino acquistò la sede del Centro Padre Nostro, quella che è di fronte alla Chiesa, malgrado il prezzo lievitò di molto e non casualmente, riuscì a trovare più soldi di quelli che erano necessari. E poi noi abbiamo un santo in paradiso in più, che è proprio lui. Secondo me si è già messo all’opera, anzi non ha mai smesso di operare”.
“Ma che vuol dire per gli abitanti di Brancaccio che don Pino è santo?”
“Vuol dire ciò che esprimere benissimo il linguaggi semplice della gente. Uno che ti vuole bene e a cui ti puoi rivolgere”.
“Scusi, ma l’hanno fatto santo senza neppure aver fatto un miracolo”
“Intanto secondo me – ribatte – il primo miracolo saranno i tantissimi fedeli presenti al Foro Italico. Molti vengono da fuori Sicilia e non certo per un viaggio turistico. E poi dobbiamo sempre ricordare che don Pino è stato ucciso in odium fidei, cioè perché il suo modo di essere prete provocò odio nei confronti della Chiesa, e non solo per le sue importantissime e significative attività sociali e assistenziali che svolgeva nel quartiere”.
“Ma che differenza c’è allora tra la sua uccisione e quella del giudice Falcone che si ricorda proprio in questi giorni?”
“Don Pino – spiega pacatamente – non fu ucciso per le sue idee o per le sue opere, ma perché i suoi uccisori, come risulta anche degli atti del processo, non potevano sopportare e tollerare l’origine del suo impegno. La Chiesa era per loro un altro potere che si contrapponeva a quello della mafia e per questo motivo andava eliminato.
“E questo come è compreso della gente?”
“Ai fedeli ho cercato di spiegarlo così: don Pino è stato ucciso con Cristo, cioè partecipando del suo martirio e con Cristo oggi vive. Quindi dobbiamo pregarlo, come preghiamo santa Rosalia o san Gaetano. Per questo possiamo dire, come ironicamente ripeteva don Pino stesso, che da sabato abbiamo tutti un santo in più in paradiso”.
Si è fatto tardi, ma l’ultimo saluto è un invito pressante: “Ci vediamo venerdì sera nell’area in cui sarà costruita la nuova parrocchia per un momento di preghiera e di gioia con gli abitanti del quartiere. Tutti siete invitati”.
E risale sulla sua utilitaria, bisognosa di una visita dal meccanico per la quale adesso non c’è tempo.