lunedì, maggio 06, 2013

Emanuele Macaluso: il Pci e la caduta degli ideali

Emanuele Macaluso, storico dirigente del Pci
di Tony Zermo
«Il partito sbanda dopo la morte di Moro e Berlinguer, senza riuscire a diventare socialista». In Europa. «Non esiste in tutta Europa uno Stato senza un partito socialista. L'errore del Pd è stato non esserlo»
Quando cominciò lo sfaldamento del partito comunista? Dopo la morte di Berlinguer, dopo la caduta del Muro? Bisognerebbe vivisezionare il partito per capire perché si è ridotto ad un'armata Brancaleone perdendo le originarie virtù, cioè il sogno di una società giusta, equilibrata e solidale. La colpa più grave è forse la mancanza di umiltà, l'autoreferenzialità, la supponenza di essere sempre dalla parte del giusto e gli altri dalla parte sbagliata dello steccato. Non è così che si fa politica e che si parla alla gente. Emanuele Macaluso è stato un grande dirigente del partito, componente della direzione, direttore de «L'Unità», oltre che storico segretario regionale del Pci ai tempi delle lotte contadine e delle zolfare. A 89 anni ha ancora una visione lucidissima e una memoria da fare invidia a un ragazzo. La domanda è meno semplice di quanto possa sembrare: quando il partito comunista iniziò la discesa?
«Un momento cruciale per il Pci - comincia Macaluso - fu l'uccisione di Aldo Moro che mise fine alla politica della solidarietà democratica. Si mette in crisi una politica del Pci che era quella della solidarietà nazionale come diceva Moro. Moro non voleva il Pci al governo, ma voleva portare il Pci nell'area di governo, cioè creare il sistema dell'alternativa. Dopo l'uccisione di Moro e la fine di quella politica il Pci non trovò più la strada maestra. Non la trovò nemmeno Berlinguer che tentò con la cosiddetta alternativa democratica, ma poi morì nell'84 per cui il tentativo si arenò. Successivamente il Pci con l'altro segretario ebbe un momento di continuità nel senso di una buona amministrazione perché Natta era un grande galantuomo, un grande intellettuale, però anche lì non c'era più né l'alternativa di sinistra, né la solidarietà nazionale, né un altro tipo di politica. C'era la ricerca di una strada, ma non l'imbocco di una strada. Dopo ci fu la crisi e dopo Natta venne Occhetto».
- Cosa cambiò con Occhetto?
«Al diciottesimo congresso del marzo 1989, poco prima del crollo del Muro di Berlino, lui fece un nuovo Pci con forte impronta ecologista, ma anche quella svolta era più propagandistica che politica, perché la politica del Pci da Togliatti in poi ha sempre teso ad avere un ruolo di governo e la politica di Occhetto non era quella giusta. Ci sono due congressi, il partito si spacca, chi è per la svolta e chi è contro la svolta, il partito subisce una scissione perché Cossutta, Ingrao, Garavini e Bertinotti costituiscono il partito della Rifondazione comunista, mentre Occhetto fa il Pds, partito democratico di sinistra. Il partito comunista in un certo senso finisce, finisce alla Bolognina non solo perché cambia nome e prospettiva, ma anche a causa della spaccatura».
- Che succede dopo la svolta della Bolognina?
«Il Pds resta nel limbo. Quando ci fu la svolta Bufalini, Napolitano, io, Lama eccetera dicemmo che il partito doveva andare verso il socialismo europeo per acquisire un'identità. Cioè prendiamo il nucleo storico del partito e diventiamo membri del partito socialista europeo, era questo il tentativo. Occhetto non fece né l'uno e né l'altro, fece restare il partito in mezzo al guado, addirittura offrì a Leoluca Orlando di fare il segretario, all'epoca Orlando era il leader della Rete».
- La Rete era fatta da grillini ante litteram. Occhetto era stato segretario del Pci siciliano e Leoluca era protagonista della cosiddetta «Primavera siciliana».
«E certo, si conoscevano bene. Ma naturalmente non se ne fece niente».
- Poi se non ricordo male ci fu tutta una girandola di segretari dopo Occhetto.
«Il partito cambiò ancora nome e diventò Ds, democratici di sinistra. Dopo Occhetto venne D'Alema, dopo D'Alema Veltroni, dopo Veltroni Fassino, erano gli eredi del Pci senza paternità. Volevano essere socialisti ma non erano socialisti. Sono rimasti a metà, né carne e né pesce, e questo è stato il difetto principale. All'ultimo con la Margherita hanno fatto il partito democratico».
- Ma il partito non ha perso il rapporto con la gente? Ricordo nel mio piccolo le grandi feste dell'Unità con migliaia di partecipanti in tutte le città, e la gente cantava, mangiava lasagne e maccheroni e ascoltava i dibattiti politici. E' da tempo che non si vede più roba del genere.
«Perché non è più un partito organizzato, legato alle categorie, legato ai quartieri, legato ai problemi della gente, eccetera. E' diventato un partito elitario in cui ha prevalso l'individualismo esasperato, e quindi le persone si sono sbandate, non hanno più visto un partito in difesa dei loro bisogni».
- Voi cosiddetti miglioristi avete cercato di raddrizzare le gambe al partito, ma non ci siete riusciti forse perché al comando c'è un sinedrio che non accetta ricambi come nel caso di Matteo Renzi.
«L'ho già detto, Lama, Chiaromonte, io, Napolitano tentammo di far diventare il vecchio Pci un partito socialista, perché l'Italia è il solo Paese che non ha un partito socialista. C'è in Germania, c'è in Inghilterra, c'è in Francia, c'è in Belgio, soltanto in Italia non c'è un partito socialista che è l'unica alternativa a un partito conservatore. E la nostra battaglia è stata sempre quella, di fare in Italia quello che c'era in Europa. Un partito socialista legato al partito socialista europeo. Secondo me non esiste altra strada. Oggi un partito che non ha riferimenti europei non è più un partito, ma solo un aggregato elettorale. Renzi in questo quadro rischia di essere sprecato».
La Sicilia, domenica 05 Maggio 2013

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