lunedì, novembre 12, 2012

La storia della Chiesa di San Martino

Il manifesto dell'iniziativa
«Poiché la carità del natio loco mi strinse radunai le fronde…». Una terzina dantesca che agita il cuore di chi ama la propria città e cerca di radunare e stringere, con nuovo inchiostro, carte consumate non dal tempo, ma dall’incuria di un “uomo” che si pensa e si cerca solo nel futuro, disattendendo di conoscere quella storia che ancor oggi sorregge più che mai l’identità culturale di ogni societas umana.
È vero, a volte pare che il passato assai lontano si disperda e si smarrisca come fosse una stagione mai venuta, mai vissuta, difficilmente vicina alle orme del nostro presente. Come se quelle generazioni fossero rimaste nel grembo di un tempo mai nato e mai pensato, eppure loro ci sono, in diverso modo, ancora. Il vero futuro, forse, abita i soli luoghi antropologici di un “progresso” che ha ancora da venire? Oppure è già nel presente di ogni storia umana, che vive, spera le gioie e le fatiche di un tempo vissuto in pienezza?
Questi pensieri “aprano” le pagine di un libro donatomi qualche giorno fa dagli stessi autori, con l’impegno di leggerlo e la consegna di poter curare un profilo critico-ermeneutico sullo stesso.
Ho accettato l’invito a scrivere perchè non ci accada di camminare per le vie della nostra città da anonimi visitatori, bensì da cittadini consapevoli e responsabili di una memoria che non è solo ricordo rattrappito, avvizzito di superficialità, ma storie umane tessute dentro contesti socio-culturali, che ereditiamo e riconsegniamo ai  figli di quest’ora e di quella futura al fine di lavorare per il bene comune: il cittadino, nella sua dimensione personale e sociale, soggetto non funzionale, ma telos di ogni ordinamento giuridico.
Ecclesia Sancti Martini, Storia e arte della Chiesa Madre San Martino di Corleone, Ecco il titolo del volume. A me il compito di introdurvi “dentro” gli spazi di queste prime parole che danno l’incipit  ad un lavoro di ricerca protrattosi  per ben due anni.
Un’ indagine scrupolosa e appassionata, quella dei nostri autori, di documenti storici volti a scoprire e riscoprire i “diversi” volti della nostra chiesa di San Martino.
Non una ricostruzione fine a se stessa, bensì un lavoro atto a schiudere vicende umane di una comunità credente, che operava e s’affaticava per consegnarsi e consegnarci, sì una οἰκία dove potersi radunare e celebrare il culto cristiano, ma al contempo attenta e premurosa nel tenere viva e «[…] accesa la fiammella delle fede […]».
Ma non solo; la maggiore chiesa, già agli inizi del XIV sec., veniva impegnata anche come luogo di assemblea per l’Università della Terra di Corleone, “spazio civico” in cui s’incontravano le autorità cittadine.
Ripercorrendo l’indice del libro, a primo acchito, ci si rende subito conto che il materiale raccolto, oggetto di studio, segue l’intelaiatura cronologica, a tratti interrotta da testimonianze che disvelano sequenze di vita quotidiana.
Gli autori ci riportano alle origini della fondazione dell’edificio di culto, per poi risalire e soffermarsi in determinati periodi in cui la chiesa subisce interventi importanti, di ampliamento, per giungere alla fine del secolo appena trascorso.
Conosceremo i maggiori maestri d’arte che, a partire dalla fine del XV sec., hanno lasciato alla comunità credente opere di indiscusso pregio artistico.
Il libro, allentando un po’ le fila dal tema princeps, quasi ci distrae riportando anche alla luce una vera e propria nota di colore, dal sapore antico ma non troppo.
Si tratta di Don Antonino Bono sacerdote, persona facoltosa vissuta verso la metà del XVIII sec., appartenente a quanto pare ad una delle famiglie più autorevoli di Corleone. Giunto all’imbrunire della sua esistenza scrive testamento. Nell’indicare i beni da conferire in dote alla Collegiata della madrice, non si lascia vincere in generosità, ricordandosi nelle sue disposizioni anche i nipoti: don Filippo e Antonino Triolo. Sull’esito di questa ingente eredità non manca la querelle.
Scorrendo le ultime pagine troviamo un’ ampia appendice documentaria, nella quale si riproduce copia fotostatica degli atti notarili; una tavola comprendente tutti i Rettori della Chiesa di San Martino; e un’accurata ed estesa bibliografia.
Nel panorama dei tanti apporti sulla storia locale, questo è certamente un lavoro importante. L’aver dedicato una lente d’indagine privilegiata e specifica sulla chiesa di San Martino ci permette non solo di rivisitare la vita di un edificio, ma di verificare in specie la portata assiologica di quelle fonti già conosciute sottoponendole al vaglio di nuove.
Nell’additare le linee portanti di questo lavoro, ho la necessità di tracciare due vie maestre, come fossero il cardo e il decumanus maximus di una città romana. La prima metodologica, che apre la nostra conoscenza, appunto, su nuovi documenti, i quali gettano luce nuova nella ricerca in oggetto. Una disamina di atti notarili, visite pastorali, documenti dell’archivio storico della stessa chiesa e di quello diocesano; chiaramente un lavoro che si costruisce avvalendosi e confrontandosi passo passo con quegli autori che, per le medesima via, hanno contribuito e continueranno a concorrere agli sviluppi della stessa indagine storica.
 Il punto d’intersezione fondante di questo contributo scaturisce dalla seconda strada, a mio avviso, cuore pulsante di tutto il libro. E come ritrovarsi paradossalmente dentro e fuori le mura della nostra chiesa. Le immagini in questo caso aiutano il lettore ad affrontare e comprendere luoghi e spazi, semmai conosciuti solo dagli addetti ai lavori, ma ignoti a noi, che viviamo ogni giorno i crocicchi della nostra città.
Decisiva è la scelta di accompagnare la parola con l’immagine ricostruita con i moderni programmi dell’informatica. Sicchè il lettore entra repentinamente dentro i secoli della sua chiesa Madre per riappropriarsi di un passato, sì lontanissimo, ma ancor oggi sotto il suo sguardo. Vi si svelerà all’interno uno scrigno preziosissimo di cappelle e di altari documentati dalle visite pastorali disposte dalla Curia di Monreale fin dal 1574. Non si potrà sfuggire a tanto splendore. Il maestoso polittico del De Vigilia, collocato dietro l’altare, illuminava non solo l’intera tribuna del presbiterio, ma ogni preghiera consegnata dalla comunità credente. Fino al 1787, la cona magna  raccontava ed educava quelle generazioni alla comprensione di un linguaggio umano-divino che la bellezza dell’opera d’arte di per sé trasmetteva. Purtroppo oggi non la possediamo più. L’altare maggiore è solo l’inizio del nostro cammino, immani tesori ancora ci aspettano di essere visitati e conosciuti. Troverete pagine ricchissime di spunti che meritano di essere lette e approfondite. Certo non nascondo anche una certa fatica che il lettore potrà affrontare per la mole di note di cui il testo si avvale per una migliore comprensione. Ritengo, nonostante tutto, che sia necessario aver tra le mani questo libro come ogni libro, che ci consente di scoprire, forse, che la nostra città nasce e diventa città ogni giorno senza interruzione di sorta.
Sta di fatto che «la conoscenza del proprio passato– come scrive Mons. Cataldo Naro – è fondamentale così come per le singole persone, anche per le comunità umane. Solo una conoscenza storica del nostro passato collettivo ci può dare da una parte la coscienza di essere quella comunità che di fatti siamo nella continuità del tempo e delle esperienze e dall’altra ci aiuta a liberarci del nostro incoscio sociologico alle stesso modo che la psicanalisi aiuta le persone singole a liberarsi dei loro complessi sul piano della psicologia. La conoscenza storica onesta e serena serve, infatti, a illuminare il passato, a comprenderlo, ad assumerlo in piena coscienza. L’ignoranza degli antecedenti storici ci chiude alla comprensione di noi stessi, come comunità, ci impedisce di guardare realisticamente e liberamente al futuro, ci incatena agli stessi nodi irrisolti delle generazioni passate.
Maurizio Nicastro

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