martedì, settembre 18, 2012

"Memoriale di un vecchio portabandiera", l'ultimo romamzo storico di Pippo Oddo

La copertina del libro
di Domenico GambinoUn romanzo storico che racconta le vicende di un personaggio minore del Risorgimento siciliano, esalta il contributo all'unità d'Italia di alcuni paesi dell'entroterra palermitano

È stato da poco esposto nelle librerie l’ultimo libro di Giuseppe Oddo dal titolo “Memoriale di un vecchio portabandiera” distribuito da Prospettiva editrice di Civitavecchia. Un romanzo storico ambientato nella Sicilia rurale dove i sentimenti risorgimentali si diffondevano nel popolo oppresso dal dispotismo borbonico. Al centro della narrazione è la storia di un personaggio minore del Risorgimento siciliano, mastro Ciccio il sellaio, che da giovane si converte all’idea repubblicana di Mazzini e partecipa alle principali cospirazioni antiborboniche della Sicilia occidentale. Il nocciolo della narrazione è costituito dal tentativo insurrezionale del 1856 preparato dal prode Francesco Bentivegna che affida la bandiera tricolore della rivoluzione proprio a mastro Ciccio.
La rivolta fu soffocata con durezza e finì nei peggiori dei modi, ma quel tentativo insurrezionale in realtà alimentò quell’aspirazione di libertà nell’unità nazionale, precorrendo la rivoluzione del 1860 con lo sbarco in Sicilia di Garibaldi. Il romanzo, quindi, proseguendo con le vicende personali di mastro Ciccio, racconta quei convulsi giorni della presa di Palermo da parte dei garibaldini. Potrebbe essere questa la sofferta ma felice conclusione della lotta di un popolo per la libertà, ma all’epilogo del romanzo non mancano le sorprese che Giuseppe Oddo riserva ai suoi lettori da attento osservatore della realtà della società italiana post-unitaria. 

Oltre all’ampia ricostruzione dell’epoca nei suoi vari aspetti politici, sociali e culturali, ad arricchire la narrazione è la particolare attenzione che l’autore dedica alla descrizione del territorio siciliano che, sul filo del racconto, fa da scenario per far rivivere la quotidianità della vita negli usi, nei costumi e anche nelle tradizioni del tempo. Per tutti i personaggi che si affacciano nell’intreccio del racconto, molti dei quali realmente esistiti, l’autore non manca mai di descriverne la personalità e il posto occupato nella comunità, aggiungendo sempre nuovi dettagli per meglio descrivere la società di allora, in particolare quella di Menfrici, il paese d’origine di mastro Ciccio e di Bellafrati, il paese dove il nostro sellaio trova rifugio.
Il romanzo inizia con un prologo che, come chiarisce lo stesso autore, può fungere da epilogo. È assai scorrevole nella lettura ed è strutturato in capitoli che con titoli distinti seguono gli eventi. Una soluzione che aiuta il lettore a fissare nella memoria la narrazione. Si può affermare, pertanto, che si tratta di un libro accattivante che invoglia alla lettura e spinge a divorare le pagine tutte di un fiato ma, contemporaneamente, è un romanzo che va letto con molta attenzione per meglio assaporare la descrizione dei luoghi, le notizie storiche e gli altri particolari che denotano una profonda conoscenza del territorio e degli aspetti antropologici della società siciliana di quel tempo. E non poteva essere diversamente perché Giuseppe Oddo, originario di Villafrati in provincia di Palermo (la Bellafrati del romanzo), esperto di cultura del territorio, è autore di numerosi testi scientifici che ricostruiscono e analizzano gli avvenimenti storici e la società dei tempi passati con particolare attenzione alle lotte dei poveri contadini per la terra e i loro sogni per la libertà. Dalla lettura delle precedenti pubblicazioni, si capisce che con questo romanzo Oddo completa in modo singolare e assai efficace, un mosaico che documenta l’apporto massiccio alla causa risorgimentale di un gruppo di paesi dell’entroterra palermitano: da Mezzojuso, centro operativo della rivolta e luogo dove fu fucilato il prode corleonese, barone Francesco Bentivegna, a Villafrati, a Ciminna, a Campofelice di Fitalia.
Un romanzo, dunque, destinato a lasciare un segno perché solleverà un interessante dibattito sul sostegno di quelle popolazioni alla causa dell’unità d’Italia e sul sacrificio di quegli uomini che subirono dure condanne per il tentativo insurrezionale antiborbonico guidato da Francesco Bentivegna che pagò con la vita quel sogno di libertà. La rivolta del 1856, osserva Oddo, fu un avvenimento unico nella storia d’Italia: mai si era verificato che una rivolta esplodesse in un’area rurale con l’obiettivo di coinvolgere la città, cardine del potere costituito.

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