martedì, settembre 11, 2012

Frank Zappa: una sbirciata a Partinico


Frank Zappa
C’è qualcosa che mi lega alla cultura e alla formazione di Frank Zappa. Forse l’amore che suo padre aveva per la storia, forse il suo non accontentarsi del suo ambiente, forse una certa sua più o meno diretta capacità di rompere gli schemi, di trasgredire. Cresciuto in un clima aperto e ricco di stimoli che presto farà del figlio di un immigrato, uno dei massimi  rappresentanti della musica del Novecento, ancora tutta da studiare, Zappa è certamente un grande. Il suo genere è stato definito, infatti, in vario modo: rock progressivo, demenziale, sperimentale, proto-punk, art-rock, hard rock e via di seguito. Apprezzato da un vasto pubblico in tutto il mondo, credo non ci sia oggi città che non abbia dedicato, una strada, una piazza, un monumento a questo mito della musica rock.
Di lui Massimo Marchini ha scritto che fu “Un genio iconoclasta, una mente libera, indipendente e acuta che sputa fiamme e vetriolo contro l’AmeriKa, non solo quella di Nixon e della guerra in Vietnam, ma anche quella dell’ipocrisia sessuofoba, del falso moralismo, del dio-denaro.
Nemico acerrimo dell’uso di droghe d’ogni tipo e delle condizioni standard delle sue chitarre elettriche, che faceva modificare maniacalmente, tiranno despota all’interno delle sue band, ma persona gentilissima e generosa nella vita reale. Un musicista che ha saputo distillare con singolare intelligenza e inconfondibile personalità un sincretismo musicale ineguagliato e forse ineguagliabile. Come diceva Carmelo Bene, musica de-genere, ossia non etichettabile, incapsulata in un genere. Rock’n’roll, blues, musica classica contemporanea, jazz, doo-woop, vaudevillemusique concrête, Zappa-alchimista distilla in bizzarri alambicchi tutto quanto lo ha preceduto e quanto gli sta intorno a formare, appunto, quello stile inconfondibile, zappiano.”
Ma c’è dell’altro, perché Zappa fu assunto anche a simbolo di una irrefrenabile voglia di libertà, quando questa parola era ai limiti della trasgressione. A Budapest, nella piazza intitolata allo scrittore ungherese Mikszáth Kálmán, c’è un bar, dove Frank si fermò una volta. Oggi porta il suo nome, ma al tempo del cambio del regime in Ungheria, era un locale underground. Si intitolava “Tilos az Á…”,  un pub dove si faceva musica, si tenevano concerti, e passava buona parte della contestazione giovanile. Perché, si sa, la musica è contestataria per sua vocazione. Il vecchio titolo del pub sta a significare “Vietato A…”. Un’espressione che trae spunto da un famoso racconto inglese, “Winnie the Pooh”, l’orsacchiotto che ha per amico il maialino Pimpi che abita in una casa con accanto un cartello rotto dove però si può ancora leggere “Trespassers W…”. Una scritta che originariamente poteva leggersi come “Trespassers Will be prosecuted” (“I trasgressori saranno perseguiti”).
Nel 1991 Budapest volle festeggiare l’abbandono dell’Ungheria da parte dell’Urss e il sindaco della città tenne un party in questo locale invitando anche Frank Zappa. Ma le contestazioni continuarono finchè il locale nel 1995 fu chiuso. Riaprì solo nel 2000, quando cambiò nome in quello di “Zappa café” .
A maggior ragione degli ungheresi, dunque, per i partinicesi, gli abitanti di quella comunità nella quale anch’io sono nato, questo genio del rock dovrebbe essere un maestro, una voce e una musica da cui apprendere il passato e saper guardare al futuro. L’idea dello sviluppo coniugata con la memoria. Perché il padre di Frank, Francesco Zappa, alias Francis, trovò proprio a Partinico i suoi natali, come del resto le generazioni degli antenati che lo avevano preceduto, sempre alle prese con malaria e peronospera.
Poi,  spinto dal bisogno o dalla costrizione, ad un certo punto, lasciò il paese in cui era nato, per recarsi in America a cercare un mondo nuovo. Fece carriera. Laureato (pare in storia) e perito tecnico, riuscì a trovare un buon impiego presso la base dell’Aeronautica militare statunitense ‘Edwards’, nei pressi di Los Angeles. Lavorò dunque per il governo americano e per questo motivo la sua famiglia dovette spostarsi da una città all’altra. A Baltimora, nel Maryland, dove Frank nacque il 21 dicembre 1940, primogenito di quattro figli. Così la via dell’emigrazione fu dolorosa, per questo partinicese, come per quasi tutti gli altri emigrati, ma ricca di prospettive, produttiva di futuro.
La stessa cosa non può dirsi per chi fa il percorso inverso. Cioè torna indietro, va a riscoprire le sue radici, come in un viaggio a ritroso, un ritorno al ventre materno. Perciò mi hanno fatto una grande tenerezza i figli di Frank, quando nel 2011 hanno voluto ripercorrere il viaggio che aveva fatto il loro padre, nel 1982, nei giorni della festa di Santa Rosalia. Giusto in quei giorni aveva deciso di tenere un concerto a Palermo allo stadio della Favorita.
Ne era stato ispiratore Massimo Bassoli che per l’occasione gli aveva suggerito di fare un salto a Partinico e rivedere i luoghi dove aveva vissuto il padre, prima di decidere di emigrare. L’arrivo di Zappa nel paese di suo padre fu come una discesa agli Inferi, o un viaggio in un immaginario Far West. In Sicilia erano in pieno svolgimento le guerre di mafia. Pio La Torre era stato ucciso da poco, i giornali pubblicavano in prima pagina, al posto dei titoli, il numero dei morti ammazzati durante le sparatorie contro i ‘picciotti’ che sgarravano o i boss che rifiutavano i nuovi patti. Erano bollettini di guerra. Il 3 settembre veniva poi ucciso Carlo Alberto Dalla Chiesa.
Neanche Partinico viveva sonni tranquilli e la gente se ne stava rintanata in casa. A una certa ora c’era il coprifuoco.
Nel 1982 nessuno conosce Frank Zappa nel paese di Frank Coppola e Nenè Geraci. L’incontro di Zappa con la città di suo padre è perciò l’accostamento di un artista con una memoria perduta, con un deserto, con una città-fantasma, un luogo di violenza e d’angoscia. Un’occasione mancata che lascia, come sempre succede, l’amaro in bocca. Bassoli che lo accompagna si sente come un alieno, venuto da un altro pianeta.
Ma Diva e Dweezil Zappa, i figli di Frank ritornati a Partinico nel 2011, ci dànno una speranza, quando incontrano il sindaco. La massima autorità cittadina promette: a Frank Zappa sarà dedicata la via dove viveva la famiglia Zappa: la via Zammata. I due giovani sono felici. Piangono. Vogliono vedere la casa del loro nonno. E’ chiusa, diroccata. Non si vede nulla tranne un vecchio portone con la serratura forzata. Ma Diva vuole vedere. Qualcuno la solleva fino alle barre di ferro che sovrastano l’enorme porta. Sbircia dentro. Vede l’abbandono, la polvere, il tempo che ha seppellito tutto. Il punto da cui era partito il padre di suo padre. A distanza di un anno non c’è traccia di via, lapide, piazza, angolo, che ci ricordi il grande e mitico Zappa. E come poteva mantenere la promessa un sindaco che è l’equivalente di una giunta pari allo zero, nella terra di nessuno? Meglio l’America.
Giuseppe Casarrubea
 Il video “L’estate di Frank Zappa” è realizzato da Salvo Cuccia per Rai 3 Storia:

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