martedì, luglio 24, 2012

Piero Grasso: «Pm in buona fede ma l’intercettazione va esclusa»


Piero Grasso
Il Procuratore nazionale antimafia: «Tra verità e istituzioni, viene sempre prima la verità».
di Claudia Fusani 
È una trama spietata quella che intreccia il ventennale dell’uccisione di Paolo Borsellino e il conflitto di attribuzione tra Quirinale e procura di Palermo per una storia di intercettazioni che hanno a che fare con l’inchiesta sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Che di quella stagione di stragi di vent’anni fa è stata protagonista. È un intreccio infernale i cui fili vanno tenuti separati e distinti. Per evitare strumentalizzazioni. Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso li prende uno ad uno. E li spiega. 
Ha appena concluso un’audizione in Commissione giustizia alla Camera. E accetta di rispondere alle domande. Il conflitto sollevato dal Quirinale, prima di tutto. «Il Capo dello Stato - precisa il procuratore nazionale - non può essere e non potrà mai essere intercettato. La procura di Palermo lo ha ascoltato in modo occasionale», un bersaglio indiretto a colloquio con uno diretto , l’ex vicepresidente del Csm Nicola Mancino che invece è indagato per falsa testimonianza nell’inchiesta palermitana sulla trattativa. Ma se Costituzione e procedure sono chiare nel dire che il Capo dello Stato non può essere intercettato (esclusi i casi previsti all’articolo 90 della Carta), è vero che non lo sono altrettanto nel dire cosa fare se il Presidente è un bersaglio indiretto. 

«E’ previsto il caso dei parlamentari per cui va incardinata l’udienza stralcio in cui decidere cosa fare con le intercettazioni. Ma non il Capo dello Stato. In questo senso - spiega Grasso - si può dire che c’è un vuoto nella legge. In questo senso è giusto che un giudice terzo, la Consulta, decida come bisogna comportarsi». Il procuratore è uomo che sa camminare in equilibrio su fili molto sottili. Condivide la scelta del Quirinale che farà chiarezza una volta per tutte. Ma non per questo bacchetta i colleghi palermitani: «Hanno agito in buona fede, secondo come ritenevano fosse giusto applicare la legge. Ora la questione è in buone mani. Deciderà la Consulta». Sarà coperta, una volta per tutte, quel «vuoto nella legge». Anche se, ad ascoltarlo bene, una soluzione il procuratore nazionale l’aveva già trovata quando guidava la procura di Palermo. «Avevo fatto una circolare per cui le intercettazioni indirette di parlamentari venivano valutate prima di essere allegate agli atti» ricorda. Come dire che quello che veniva pescato occasionalmente e valutato «irrilevante» veniva subito distrutto, neppure trascritto. E non se ne parlava più. Certo, ancora una volta si parlava di parlamentari. Non era mai successo di pescare occasionalmente il Capo dello Stato. In questa faccenda, che va avanti da quasi un mese, ci sono alcune intercettazioni tra Mancino e Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico del Quirinale, in cui l’ex numero 2 del Csm chiede di far intervenire Grasso e di far valere i suoi poteri di coordinamento. Pressioni, quindi, sullo stesso Grasso. Il quale per la prima volta risponde sul punto. «Dal Quirinale - spiega - sono stato chiamato a dare contezza della mia funzione istituzionale di coordinamento, non ho subito alcuna pressione. E neanche i magistrati di Palermo hanno subito pressione».

Poi, un invito: «In un'indagine chi cerca la verità non può farlo sotto pressione, ma è importante anche la collaborazione degli altri: per vicende così datate nel tempo serve qualcuno che ricostruisca quello che è successo tanti anni fa, servono le dichiarazioni spontanee di chi sa». Un monito a chi in questa inchiesta sulla trattativa ha ricordato troppo tardi. E troppo poco. E continua ancora a ricordare a tappe. Ci si interroga, poi, da più parti sulla reale competenza della procura di Palermo ad indagare sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. Grasso chiarisce il punto una volta per tutte.

«Siamo davanti a una duplice competenza» dice, dipende quale filo viene tirato, di quale trattativa si sta parlando (Grasso precisa sempre: «Ma cos’è la trattativa?»). «Se ha a che fare con l’associazione mafiosa in genere, allora è competente Palermo. Se invece la trattativa sviluppa dalle stragi in cui sono stati uccisi Falcone e Borsellino, allora la competenza è di Caltanissetta (titolare delle indagini sui magistrati del distretto di Palermo, ndr).

Al procuratore non sfugge che la verità sulla strage di via D’Amelio passa anche dall’inchiesta sulla trattativa tra Stato e Cosa Nostra. «Ma a noi - ripete - servono prove, non bastano le illazioni ». Viene da chiedersi, poi, in questa chiacchierata, se vengano prima le istituzioni e la loro tutela o la verità. «La verità, sempre e prima di tutto, sono un magistrato» è la risposta secca di Grasso. Ma le democrazie e i sistemi giuridici danno anche altre valutazioni, «tanto che esiste il segreto di Stato che riconosce in certi casi il primato delle istituzioni ». Ma in questa vicenda specifica, sottolinea il procuratore, «non si pone un problema di verità perchè la stessa procura ha giudicato irrilevanti le intercettazioni con il Presidente della Repubblica ».
L'Unità, 18 luglio 2012

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