domenica, luglio 29, 2012

L'INTERVISTA. Antonio Ingroia: "Siamo pronti a fermare l’inchiesta se sulla trattativa c’è la ragion di Stato"


Antonio Ingroia
di SALVO PALAZZOLO
PALERMO - Il magistrato Antonio Ingroia ha un dubbio: "Sulla vicenda della trattativa c'è una ragione di Stato che impedisce l'accertamento della verità sulla base delle ragioni del diritto penale? Se è così, dalla politica devono venire parole chiare: se si ritiene che debbano essere sottratte alla verifica della magistratura temi o territori coperti dalla ragione di Stato, lo si dica".
E se emergesse davvero una ragione di Stato dietro al dialogo segreto con la mafia, cosa farebbe?
"Di fronte a una legge, o a una commissione d'inchiesta politica, che ribadisse la ragione di Stato dietro alla trattativa, la magistratura non potrebbe che fare un passo indietro. In caso contrario, la legge ci impone di andare avanti per l'accertamento della verità".
C'è stata o no una ragione di Stato nella trattativa?
"È quello che vorrei sapere. Credo che sia necessario uscire dall'equivoco, alimentato dalle parole dette e non dette di autorevoli commentatori, a proposito di una presunta ragion di Stato che dovrebbe fermare l'azione della magistratura".

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Alcuni commentatori mettono in dubbio l'esistenza della trattativa.
"Sentenze definitive stabiliscono che ci fu: da lì siamo partiti. E oggi il paese ha un'occasione unica: non vorrei che andasse perduta".

Non c'è il rischio di enfatizzare il processo sulla trattativa, che dovrebbe avere innanzitutto il compito di accertare responsabilità individuali prima di proporre ricostruzioni storiche?
"Lo ripeto da mesi. Il processo che inizierà è un'occasione, che non esaurisce lo sforzo di accertamento della verità. Occorrono altri momenti, e soprattutto la coesione istituzionale auspicata dal presidente della Repubblica. Non una chiusura corporativa di alcuni poteri dello Stato. E tanto meno una sorta di complicità istituzionale. Dovrebbe essere una coesione verso traguardi più alti: la verità sulla stagione 92-94, che pesa come un macigno sulla nostra democrazia".

Il confronto fra politica e magistratura resta critico, forse anche per la sua inchiesta?
"La coesione istituzionale dovrebbe esplicarsi in fatti concreti. Innanzitutto, il dovuto rispetto nei confronti della magistratura. E invece in questi giorni siamo stati insultati, sui giornali abbiamo letto cose infami. Ma noi abbiamo la coscienza a posto, abbiamo sempre rispettato le regole. Ci siamo comportati come Loris D'Ambrosio avrebbe fatto al nostro posto. E lo dico per la conoscenza e la stima dell'uomo delle istituzioni D'Ambrosio. Anche lui avrebbe fatto ogni sforzo per la verità".

Maggiore rispetto per i pm, dice lei, e toni pacati: bastano per un dialogo più costruttivo fra politica e giustizia?
"La politica dovrebbe essere soprattutto meno impegnata a cacciare indietro l'azione della magistratura. Ad esempio, sottraendole strumenti fondamentali, come le intercettazioni".

Però, anche il conflitto di attribuzione sollevato dal Quirinale sembra essere un atto d'accusa verso i pm di Palermo, per non aver creato un clima di dialogo sulle intercettazioni del capo dello Stato.
"La Procura di Palermo non ha fatto altro che cercare il clima meno conflittuale possibile, senza violare le leggi vigenti, né le prerogative del presidente. Se si ritiene che si debba modificare la legge, lo si faccia, come l'ex ministro Flick chiedeva. Oppure, sarà la Consulta a risolvere il problema".

Gianluigi Pellegino ha proposto su "Repubblica" l'applicazione dell'articolo 271 per arrivare alla distruzione d'ufficio delle intercettazioni inutilizzabili.
"Noi non possiamo fare giurisprudenza creativa. Quell'articolo è applicabile solo a casi tassativi. Dunque, o interviene la Corte Costituzionale, o una legge apposita per la distruzione delle intercettazioni riguardanti il presidente della Repubblica, attraverso una procedura straordinaria".

Ha ormai deciso di andare in Guatemala?
"Dispiace sempre lasciare. Ma se non cambiano le condizioni, passi avanti non se ne possono fare. Il magistrato si è ritrovato in una stanza buia, devono essere gli altri attori politico-istituzionali ad accendere la luce. Se dovesse accadere, potrei anche restare".

Medita di passare dalla parte della politica, per accendere lei quella luce?
"Sono e resto un magistrato. Forse, adesso, un po' deluso. Ma non smetterò di cercare la verità, anche dall'altra parte del mondo".

(La Repubblica, 29 luglio 2012)

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