mercoledì, marzo 14, 2012

Massimo Russo: "Non dimenticherò mai il pianto di Paolo Borsellino"

Massimo Russo
Qualcuno mi ha tradito”, ripeté due volte Paolo Borsellino, lasciandosi cadere  sul divanetto nella sua stanza della Procura di Palermo. Parole che  frastornarono il giovane magistrato che lo stava ad ascoltare. Quel giovane era  Massimo Russo, per anni pubblico ministero antimafia e oggi assessore  regionale. Di quel giorno ha un ricordo indelebile.
Può renderci partecipi di un pezzo della sua memoria?
“Innanzitutto dobbiamo contestualizzarlo. Borsellino lascia Marsala nel marzo del ‘92. La definiva la sua Procura. Eravamo tutti giovani sostituti, poco più  che trentenni. Manteneva con noi un rapporto splendido. Non era solo il nostro capo. Era sempre sorridente, gioviale. L’immagine a cui ci aveva abituati  cambia in modo radicale dopo la strage di Capaci. Paolo era invecchiato, appesantito, senza il sorriso di sempre. Abbiamo tentato di stargli vicino.
Alessandra Camassa (l’altro giovane pm che ascoltò le parole di Borsellino ndr)  era stata applicata a un’indagine e siamo andati a Palermo. Siamo nel giugno  del ‘92. Borsellino era nella sua stanza. Seduto alla scrivania, spalle alla finestra. Parlavamo di cose d’ufficio. A un certo punto si alzò e d’improvviso cambiò discorso. Fece qualche passo, si lasciò andare su un divanetto e pronunciò quella frase “qualcuno mi ha tradito”. Lo disse due volte. Era  affranto, con le lacrime agli occhi. Siamo rimasti di sasso, stupiti. Allora non capivamo l’importanza di quella frase”.

Ai magistrati di Caltanissetta lei ha riferito che Borsellino vi parlò di una cena a Roma a cui partecipò assieme ad alti ufficiali dei carabinieri
“Paolo ci parlò del clima di quei giorni che io lego vagamente ad una cena a  cui aveva partecipato a Roma. Ci disse che l’ufficio, la procura di Palermo, era un nido di vipere”.
Vi disse chi era il traditore?
“Certamente era un uomo delle Istituzioni. Un suo amico delle Istituzioni”.
Quando si è reso conto dell’importanza e della gravità di quella frase che aveva ascoltato?
“Abbiamo condiviso questo ricordo con i colleghi di Caltanissetta (sono i magistrati che hanno riaperto le indagini sulla strage di via D’Amelio ndr) quando cominciò a delinearsi la storia della trattativa”.
Dopo quella volta ebbe modo di incontrare di nuovo Borsellino? Di rivedere l’angoscia nel suo volto?
“Venne a Marsala, credo il 4 luglio del ‘92. Fu una bella giornata. Respirò l’aria di Marsala e del suo ufficio. Ritrovammo un barlume del Borsellino di sempre. Salutò i colleghi. Ricordo che parlammo nel corridoio del Palazzo di  giustizia. Forse di un incontro con i ragazzi di una scuola. Mi disse sono “preoccupato per te perché ti stai occupando dei mafiosi del Trapanese. Della tua città, stai attento. I mafiosi te la fanno pagare sempre”.  Poi mi salutò con una raccomandazione: “Ci vuole mano d’acciaio e guanto di velluto”.
E lei cosa gli rispose?
Gli dissi ridendo: “Scusa, ma tu in quale città sei nato? A Palermo. Dove fai il magistrato? A Palermo. E allora?”
Perché ci sono voluti vent’anni per mettere insieme i cocci della verità?
“Ci troviamo dinanzi a una vicenda processuale che va scomposta e ricomposta. Il procuratore Sergio Lari ha fatto un lavoro straordinario. Nel percorso verso la verità ha dovuto rimuovere l’ostacolo di una sentenza passata in giudicato e che solo oggi sappiamo non essere probabilmente conforme alla realtà dei fatti.  Stiamo parlano di una vicenda di mafia che ha cambiato la storia del nostro paese”.
Nel corso degli anni, da cittadino e magistrato, ha mai avuto dubbi sulla  verità giudiziaria che era stata scritta sulla strage di via D’Amelio?
“Un magistrato deve avere la buona abitudine del dubbio. E il dubbio che ci  spinge ad approfondire. Le responsabilità esecutive sono state, tutto sommate, accertate. Poi, salendo, si arriva alle responsabilità di chi ha istigato quei fatti. La platea dei soggetti coinvolti si restringe. È in corso un’attività di ricostruzione molto delicata che si basa su testimonianze de relato.  Certamente bisogna collocare la vicenda nel contesto storico e politico di  allora. L’omicidio Lima, le stragi di Capaci e Via D’Amelio, il fallito attentato allo stadio Olimpico di Roma, le stragi del ‘93: sono tutti episodi che vanno incasellati per avere un quadro complessivo. Io vi aggiungo anche il tentato omicidio di Rino Germanà che, secondo me, fa parte della strategia complessiva di quei due anni terribili per il Paese”.
Gli esiti processuali a cui la magistratura era arrivata si basavano sulle  dichiarazioni di Vincenzo Scarantino. Oggi scopriamo che il collaboratore si era inventato tutto. Non era possibile accorgersi prima della sua inattendibilità?
“Non mi sono occupato delle indagini. Posso solo dire che non è stata una bella pagina per nessuno. Bisogna innanzitutto capire perché Scarantino si sia inventato tutto. Se, da quel che leggo, Scarantino non c’era e non poteva sapere certe vicende qualcuno deve avergliele dette”.
Si arriverà mai alla verità, quella vera?
“Non lo so ma non dobbiamo desistere dalla ricerca. I colleghi di Caltanissetta  stanno facendo un lavoro egregio. L’auspicio è che i protagonisti restituiscano all’Italia questo brandello di verità. Se non si ricostruisce la verità, le tante ombre pregiudicheranno l’evolversi della nostra democrazia. Una società in cui sono possibili ricatti non può crescere. Certo più passano gli anni e più diventa difficile il lavoro di magistrati e forze di polizia”.
Paolo Borsellino sarebbe stato ucciso anche per il suo no alla trattativa fra  la mafia e lo Stato. Lei è fra quelli che credono che una trattativa ci sia stata?
“Ritengo possibili più trattative. Una per arrivare alla cattura dei latitanti  ed evitare altre stragi di mafia e una per cambiare la situazione politica”.
In che senso?
“Mi chiedo se per caso, a monte, non vi sia stata un’altra trattativa, una complicità a livello istituzionale, in cui qualcuno si giovava, politicamente ed economicamente, delle stragi. D’altra parte questo spiegherebbe il fatto che il pubblico ministero di Firenze che indagò sulle stragi del ‘93 contestò l’aggravante del terrorismo e dell’eversione dell’ordine costituzionale”.
Torniamo da dove siamo partiti. Dalle parole pronunciate da Paolo Borsellino. Si è fatto un’idea negli anni di chi possa essere l’amico delle Istituzioni che tradì il magistrato? 
“Mi sono interrogato, ho cercato di fare un identikit nella mia coscienza. Sono valutazioni personali. Sensazioni direi, che però non hanno alcun valore processuale”.
E i processi non si fanno con le sensazioni.
“Appunto”.

LiveSicilia.it, mercoledì 14 marzo 2012 

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