giovedì, novembre 17, 2011

Le monete del Banco di Sicilia

Banconota da 100 lire emessa dal Banco di Sicilia nel 1886
di Guido Crapanzano
Nel 1848, sotto il governo di Ruggero Settimo, la Sicilia sperimentò per la prima volta il denaro cartaceo attraverso il Banco nazionale. Con la legge dell'11 agosto 1867 il Bds fu riconosciuto "pubblico stabilimento". L'anno dopo fece circolare biglietti da 1 lira
Per capire il peso che ha avuto in quasi centocinquant'anni il Banco di Sicilia nella storia dell'Isola, bisogna tornare un po' indietro nel tempo. Ovvero agli inizi del Trecento, quando dal continente arrivò anche in Sicilia l'onda della espansione economica e commerciale. Allora il sistema finanziario dell'Isola faceva leva su banche private, gestite da operatori senesi, affiancati da alcuni banchieri veneziani ed ebrei, che sovvenzionavano le caute iniziative dei mercanti locali. Successivamente, la crescente sfiducia negli strumenti di pagamento portò molti banchieri privati a trovarsi in una situazione di carenza di liquidità e, in seguito, di insolvenza: quando i clienti constatavano difficoltà nei pagamenti, il panico si impossessava dei depositanti che, in massa, chiedevano al banchiere la restituzione immediata dei loro versamenti, provocandone il fallimento.
Nel Cinquecento, i banchieri privati sopravvissuti furono soppiantati dalla nascita di banchi pubblici, chiamati Tavole. La prima fu la Tavola di Trapani, seguita da Messina e, nel 1551, anche da quella di Palermo, che per tre secoli svolse degnamente il proprio compito.

Nel 1816, dopo il Congresso di Vienna, Ferdinando IV di Borbone unificò i Regni di Napoli e Sicilia in un unico Stato e, nel 1816, istituì il Banco delle Due Sicilie. Per introdurre la pratica dell'attività creditizia siciliana anche ai privati, Ferdinando II istituì nel 1843 due Casse di Corte, una a Palermo e l'altra a Messina. La istituzione delle due Casse siciliane permetteva, tra gli altri vantaggi, di risolvere l'annoso problema del trasferimento di denaro tra il continente e l'isola. Prima di allora, il trasferimento di fondi tra le Tesorerie del Regno avveniva tramite spedizione di moneta effettiva via mare, con tutti i rischi connessi, mentre i privati utilizzavano cambiali, da scontarsi presso banchieri o mercanti, con oneri notevoli.

Agli inizi del 1848 il vento della rivolta cominciò a spirare anche nel Regno delle Due Sicilie e, già ai primi di gennaio, Palermo insorse. Il nuovo governo provvisorio di Palermo decise allora di istituire il Banco Nazionale della Sicilia, in cui fece confluire le due Casse di Corte dei Borboni. Sotto il governo di Ruggero Settimo, la Sicilia sperimentò per la prima volta la moneta cartacea, facendo gestire al Banco Nazionale di Sicilia l'emissione di una cedolina da quattro once. È curioso annotare come il Regno delle Due Sicilie sia stato l'unico, tra gli antichi Stati d'Italia, a non emettere banconote prima del 1860, questo perché, sin dalle settecentesche emissioni del Regno di Sardegna, i Borboni di Napoli, conformemente al parere dell'insigne ministro Bernardo Tanucci, consideravano la cartamoneta come una avventura finanziaria, e Ferdinando II arrivò perfino a definirla come un "furto legalizzato".

La restaurazione borbonica del maggio del 1849 portò alla nomina di Carlo Filangeri a Luogotenente Generale per la Sicilia. Filangeri stabilì che le due Casse di Corte prendessero il nome di Banco Regio de' Domini al di là del Faro, e avessero amministrazione separata da quella del Banco delle Due Sicilie. Il 1860 fu l'anno della spedizione dei Mille, con cui Garibaldi liberò la Sicilia dai Borboni per unirla al Regno d'Italia. Secondo lo studioso siciliano Giovanni Raffiotta, «il Governo dittatoriale di Garibaldi mutò la denominazione del Banco Regio dei Domini al di là del Faro, in Banco di Sicilia». Di questa nuova denominazione non c'è però traccia negli atti degli anni seguenti. Ma allora, quando è nato il Banco di Sicilia? Dagli atti ufficiali rileviamo che, con la legge dell'11 agosto del 1867, il Banco di Sicilia fu riconosciuto come «pubblico stabilimento», sottoposto alla vigilanza del governo. L'anno successivo, una legge consentì poi al Banco di emettere biglietti da 1 lira aventi corso legale: ne vennero immessi in circolazione 500.000 esemplari. Poiché nel 1870 nel Regno d'Italia non esisteva ancora una legislazione che regolasse l'emissione della cartamoneta, il Banco di Sicilia, attenendosi a quanto stabilito nello Statuto, che prevedeva l'emissione di fedi di credito sino al doppio del numerario disponibile in cassa, decise di porre in circolazione fedi di credito a taglio fisso, nei valori da 1, 2, 5, 10, 20, 50, 100, 200, 500 e 1.000 lire, che contenevano la promessa del Cassiere di pagamento a vista in effettivo oro o argento. Con questa serie di biglietti, emessi da un Istituto che godeva della piena fiducia degli isolani, per la prima volta la cartamoneta cominciò a diffondersi e a essere utilizzata per la transazioni commerciali in tutta la Sicilia.

Dopo una ispezione governativa, che verificò la scrupolosità e correttezza degli amministratori del Banco di Sicilia, l'Istituto fu autorizzato all'apertura di altre succursali in numerose città dell'isola, oltre a nuove sedi nelle città di Napoli, Firenze e Genova e, successivamente, Roma. Anche se i biglietti del Banco avevano corso quasi esclusivamente in Sicilia, la media della circolazione nel 1873 ammontava a 54.800.000 lire. Sin da quando era stato costituito il Regno d'Italia, il suo governo aveva cercato, con ogni mezzo, di giungere all'unificazione degli Istituti di emissione, tentando di incorporarli nella Banca Nazionale nel Regno, ma la presenza nel nuovo Parlamento di molti deputati, animati da vigoroso spirito regionalistico, avevano annullato tutti i tentativi.

Costretto a rinunciare all'idea di creare una banca unica, il governo decise di por fine al vuoto legislativo sulla circolazione della moneta cartacea e nel 1874 venne varata la legge bancaria che autorizzava sei banche a operare come Istituti di emissione: Banca Nazionale nel Regno, Banca Nazionale Toscana, Banca Toscana di Credito, Banca Romana, Banco di Napoli, Banco di Sicilia.
I nuovi biglietti del Banco di Sicilia erano dunque a tutti gli effetti equiparati ai biglietti pagabili al portatore a vista, e avevano corso legale in tutto il Regno. Agli inizi del 1893, anche a seguito delle vicenda ricordata come "lo scandalo della Banca Romana", era stata avviata un ispezione governativa straordinaria negli Istituti di emissione e, in relazione al Banco di Sicilia, che aveva precedentemente subito alcuni pesanti fallimenti dei suoi clienti, il relatore Gioacchino Busca scrisse che «circondato com'era dalla maggiore fiducia pubblica, sorretto da un personale onesto e intelligente, conserva ancora in sé le forze vive e bastevole per riaversi completamente dalla patite jatture». La legge del 1893 riordinò la circolazione delle banconote, limitando a tre gli Istituti che potevano emetterle: la Banca d'Italia, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Dopo le emissioni della nuova serie di banconote, dai bilanci della fine del 1897 risultava che la circolazione cartacea del Banco assommava a 58.100.000 lire. Tra il 1908 e il 1913 il Banco aprì 22 nuove agenzie in Sicilia, raggiungendo un totale di 37 filiali. Nel primo decennio del Novecento il prezzo dell'oro non subì brusche variazioni, ma nell'imminenza dello scoppio della prima guerra mondiale, l'economia italiana si impennò e la moneta fu soggetta a una forte svalutazione. La circolazione monetaria del Banco di Sicilia aumentò considerevolmente e, da 145 milioni della fine del 1914, salì a 190 nel 1916, superò i 310 milioni nel 1917, e raggiunse i 424 milioni alla fine della guerra nel 1918.

La prima guerra mondiale segnò la fine del sistema aureo, perché nel corso della guerra il prezzo dell'oro raggiunse 12 lire al grammo, per avvicinarsi alle 16 lire nel 1921. Questi sbalzi portarono alla scomparsa della circolazione di monete d'oro, che venivano tesaurizzate, provocando anche la difficoltà di conversione delle banconote in metallo pregiato, non solo in Italia, ma anche in tutta Europa. Le banconote conquistarono definitivamente il mercato italiano degli scambi, e tra queste quelle del Banco di Sicilia.

Finché, un giorno, il governo decise di revocare all'Istituto siciliano il privilegio di emetterle. Nel 1923 la grave crisi della stabilità della lira indusse alla ricerca di rimedi e il governatore della Banca d'Italia, Bonaldo Stringher, predispose un progetto di decreto in cui veniva manifestata la necessità della gestione unitaria delle emissioni di cartamoneta. La critica situazione delle lira, divenne in realtà il pretesto per attuare l'antico progetto dell'unificazione degli Istituti di emissione. Nonostante l'opposizione del ministro delle Finanze, Alberto De Stefani, il 27 settembre 1923 il governatore Stringher riuscì a far approvare un decreto che stabiliva che i tre Istituti di emissione erano autorizzati a porre in circolazione le proprie banconote sino al 31 dicembre 1930. Mussolini si lasciò convincere a dar pieno corso al progetto del governatore Stringher, che prevedeva il controllo unitario della circolazione monetaria, presentato come momento indispensabile alla soluzione del problema della stabilità della lira. La fine della circolazione delle banconote del Banco di Sicilia e del Banco di Napoli venne addirittura anticipata. Il decreto del 3 maggio 1926 stabilì che, a partire da tale data, il privilegio della emissione di banconote fosse riservato esclusivamente alla Banca d'Italia. Sulla prima pagina del quotidiano Il Giornale d'Italia del 4 maggio campeggiava questo titolo: «Un eccezionale Consiglio dei Ministri presieduto da Mussolini. L'unificazione delle banche». Finiva così la stagione del Banco di Sicilia come istituto di emissione. Le sue banconote furono ritirate e persero valore legale. L'unico privilegio che fu riconosciuto al Banco fu quello di emettere "vaglia cambiari", titoli di credito pagabili a vista, accettati per legge da tutte le casse pubbliche e private, pienamente garantiti sia dalla banca emittente sia dalla Banca d'Italia.
(La Repubblica, 04 novembre 2009)

Nessun commento: