martedì, novembre 15, 2011

Berlusconi e il "granaio" Sicilia: storia d'amore e di promesse tradite

di EMANUELE LAURIA

Il debutto del Cavaliere alla Fiera del Mediterraneo davanti a settemila fans la conquista della Regione e il 61 a zero, l'ascesa di Alfano e Schifani, poi i primi scricchiolii con le scissioni all'Ars. Nel 1994 i provini di Micciché ai candidati in un residence palermitano. Aldo Sarullo "l'ideologo" fece prendere a schiaffi tra loro i prescelti per testarne la capacità di mantenere l'autocontrollo  

PALERMO - La prima volta che venne in Sicilia a miracol mostrare, il padiglione 20 della Fiera del Mediterraneo di Palermo si riempì di settemila fans e ci fu chi fece ricorso a inviti falsi per non perdere l'evento. Era il 21 marzo 1994 e Silvio Berlusconi vide subito, alle pendici di Monte Pellegrino, le fondamenta della fortezza che i suoi collaboratori in Publitalia - Marcello Dell'Utri e Gianfranco Micciché - stavano mettendo su. Sei giorni dopo, le elezioni politiche confermavano l'intuizione del Cavaliere: dentro il boom di Forza Italia che avrebbe cambiato la storia politica d'Italia stava il plebiscito nell'Isola. Ventun per cento il dato nazionale, 34 per cento quello siciliano. Cominciava la saga del Cavaliere pigliatutto sotto la linea dello Stretto, una storia di amore e ombre, di voti e inchieste giudiziarie.
Ci sarà la Piovra, almeno il suo spettro, ad accompagnare le vicende berlusconiane in Sicilia. Ci saranno i processi per mafia. Quello a carico di Dell'Utri (condannato in secondo grado) o quello appena chiesto dalla Dda di Palermo per il senatore Antonio D'Alì. Quelli, chiusi con un'assoluzione, nei confronti di altri big del partito, da Francesco Musotto a Gaspare Giudice passando per Giovanni Mercadante. Il tutto ad alimentare quei sospetti di collusione con Cosa nostra che non sono mai venuti meno in 17 anni di successi.
Ma se c'è un animale che il co-fondatore di Forza Italia in Sicilia, Gianfranco Micciché, ama associare all'ascesa del partito, quello è un gatto. Il gatto Platini, che il manager portò con sé tornando da Milano per costruire il grande sogno berlusconiano. "Platini" non vide mai l'exploit forzista: morì in campagna elettorale, nella primavera del '94, e fu l'unico dispiacere che il dirigente si prese in quell'epoca da pionieri con il colletto bianco. Il luogo di ritrovo per una squadra formata da uomini Publitalia, Programma Italia e Standa, era il residence Marbela, nei pressi di via Autonomia siciliana, dove Micciché teneva quotidianamente una selezione del personale politico.

A lanciare in Sicilia il progetto Botticelli (primo nome del futuro partito di maggioranza), con Micciché e Dell'Utri c'erano pochi uomini: l'ex deputato all'Ars Giuseppe Catania (allora responsabile per la parte orientale dell'Isola), Enrico La Loggia, Eugenio Randi (oggi assessore a Palermo), Salvo La Porta (coordinatore dei club). E Aldo Sarullo, che in quegli anni si ritagliò un ruolo da ideologo e contribuì ai provini dei candidati con metodi mutuati dal teatro. Fra i quali lo schiaffeggiamento reciproco degli aspiranti parlamentari riuniti in gruppi da due: le vittime non dovevano reagire per mostrare così l'aplomb richiesto ai politici. In quel periodo alla corte forzista arrivò anche Cristina Matranga, contattata dopo un'intervista al Corriere della sera contenente duri giudizi su Leoluca Orlando. La città, l'isola, vennero battute in lungo e in largo da quei cacciatori di teste: "Ricordo che andai a cercare Mario Ferrara - ricordava Micciché - e incontrai il fratello Giovanni, allora presidente del Palermo. Lui fraintese e mi disse, imbarazzato, che aveva alcune difficoltà economiche. Io dovetti precisare: Giovanni, ci manca tutto, tranne che i soldi...".

Mario Ferrara, Pippo Fallica, Diego Cammarata, l'enfant prodige Angelino Alfano: diverranno più avanti il "gruppo di fuoco" del leader forzista in Sicilia. Dal 27 marzo 1994 in poi, l'Isola diventa specchio delle affermazioni su scala nazionale del partito: Micciché, Ilario Floresta e Marianna Li Calzi vanno a fare i sottosegretari, mentre La Loggia diventa capogruppo al Senato, ruolo che interpreterà per 7 anni. A giugno '94 il bis delle Politiche con le Europee e le Provinciali, durante le quali nasce la stella di Francesco Musotto, trasportato a Palazzo Comitini da 316 mila voti. Nell'ottobre '95 Musotto viene arrestato con l'accusa di mafia, sarà poi assolto. E tornerà alla Provincia, previa nomina per acclamazione di Berlusconi al primo congresso nazionale di Assago, nel giugno del '98. 

Un passo indietro: le elezioni regionali del '96 - dopo la sconfitta polista nelle Politiche che vedono in Sicilia la comparsa sulla scena di Renato Schifani - lanciano Fi come primo partito e il capolista Giuseppe Provenzano, professore di economia prestato alla politica, diventa presidente. Provenzano resta a Palazzo d'Orleans per 18 mesi: il 4 dicembre 1997 si dimetterà, denunciando i "comitati d'affari" dentro la maggioranza, in rotta di collisione con Ccd e Cdu. Sullo sfondo, le accuse di tradimento rivolte ai centristi da Gianfranco Micciché, sconfitto qualche giorno primo da Orlando alle Comunali di Palermo. "Le dimissioni di Provenzano? Il mio più grande errore. La campagna elettorale di Palermo? L'esperienza dalla quale ho imparato di più", ricorda l'ex coordinatore. Alla Regione, il centrodestra perde il governo nel '98, lo riconquista con il controribaltone che nel 2000 porta Vincenzo Leanza a Palazzo d'Orleans e fa nascere l'asse Micciché-Cuffaro. Si pongono le premesse per i successi del 2001: il 61 a 0 alle Politiche, la vittoria di Totò Cuffaro alle Regionali, l'ascesa di Diego Cammarata a Palazzo delle Aquile malgrado lo strappo, poi ricucito, con Musotto. 

Il 61 a 0 cambierà lentamente la storia e anche la fisionomia di Forza Italia: Micciché diviene viceministro e si tiene lontano, troppo lontano, dalle cose siciliane, mentre nella considerazione del Capo cresce sempre più Angelino Alfano. Altra data storica è il 28 gennaio 2005 quando, al termine della trasmissione "Punto e a capo" in cui urla "La mafia mi fa schifo", Alfano apprende della nomina a coordinatore regionale del partito. Finisce il lungo regno di Micciché, che qualche giorno dopo passerà le consegne in una cena con Berlusconi (e Tremonti!) al ristorante Myosotis di Roma. Alfano, con dedizione e cipiglio, si prenderà la scena, la maggioranza del partito e posti-chiave nel governo e nella burocrazia regionale costruendo un legame di ferro con Schifani (e Cuffaro, almeno fino al 2008). 

Micciché passa all'opposizione interna: i primi segnali di scontro durante le Regionali del 2006. L'ex dirigente di Publitalia si candida alla presidenza dell'Ars contro l'ala Schifani. Poi, dallo scranno più alto di Palazzo dei Normanni cerca di passare alla guida della Regione quando Cuffaro viene azzoppato dalla prima sentenza di condanna. Non ce la fa, perché Schifani e Alfano gli preferiscono Lombardo e Berlusconi segue le loro indicazioni. Il Pdl, nel 2008, nasce in Sicilia più che altrove sotto il segno delle divisioni interne. L'Isola non tradisce il Cavaliere ancora una volta (il 48 per cento alle ultime Politiche), Schifani diventa presidente del Senato, Alfano Guardasigilli. 

Ma il nuovo partito, nell'Isola, rimane una federazione di gruppi di potere sparsi sul territorio. Sono gli anni delle spaccature e delle scissioni prima annunciate e poi realizzate: è nella roccaforte berlusconiana che il Pdl mostra le prime crepe sotto i colpi dei finiani e di Micciché. Ecco il Pdl Sicilia, alleato di Lombardo nella guerra santa contro il Popolo della libertà targato Castiglione-Nania. Ecco gli addii, organizzati e non, ecco la fuga di un terzo degli eletti negli ultimi tre anni, ecco gli impietosi sondaggi che a Palermo scoraggiano la candidatura di uno dei campioni del voto, Francesco Cascio. Berlusconi in Sicilia si fa vedere sempre meno: nell'ultimo anno fa rotta solo sul lembo più lontano e disperato (Lampedusa) di quello che era il suo impero. Anche questo, in fondo, un segno dei tempi.
(La Repubblica, 13 novembre 2011)


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