domenica, agosto 21, 2011

Corleone, il cognome Riina fa ancora paura, tacciono i commercianti che pagano il pizzo

Gaetano Riina
di SALVO PALAZZOLO

A un mese e mezzo dall'arresto di Gaetano Riina, il fratello del capo di Cosa nostra, i carabinieri hanno convocato in caserma le vittime del racket, una decina fra commercianti e imprenditori. Nessuno ha ammesso di aver pagato il pizzo al nuovo clan di Corleone, nonostante l'evidenza di alcune intercettazioni. Dalle indagini emerge pure l'ascesa di un nuovo influente gruppo mafioso in provincia, con base a San Giuseppe Jato: avrebbe già commesso un omicidio
Commercianti e imprenditori, convocati dai carabinieri di Corleone, negano categoricamente di avere mai pagato il pizzo a Gaetano Riina, il settantottenne fratello del capo di Cosa nostra arrestato il primo luglio con l'accusa di associazione mafiosa. Sono una decina gli operatori economici della zona di Corleone che continuano a non denunciare, nonostante l'evidenza di alcune intercettazioni: le indagini coordinate dal sostituto procuratore Marzia Sabella e dell'aggiunto Ignazio De Francisci hanno trovato diversi riscontri ai ricatti imposti dal nuovo clan Riina, che poteva contare su due giovani reggenti, Giuseppe Grizzaffi (pronipote dei Riina) e il cognato Alessandro Correnti. Il fratello di Totò Riina faceva invece da supervisore e consigliere. Le microspie piazzate dai carabinieri della Compagnia di Corleone e dal Ros raccontano di un imprenditore del settore ortofrutticolo che telefonò addirittura a casa di Gaetano Riina per mettersi a posto con la tassa mafiosa. Alla moglie del boss affidò un messaggio: "Devo consegnare un acconto di 300 sui 2800 concordati", disse. Una storia che ha dell'incredibile: il fratello di Totò Riina pensò addirittura a una trappola della polizia. E allora mise in guardia i suoi fidati. Ma quell'imprenditore non era un infiltrato, era solo rispettoso delle leggi mafiose. Anche qualche giorno fa, interrogato dai carabinieri del Gruppo Monreale, ha confermato la sua devozione, negando di aver mai ricevuto richieste di pizzo. "Se c'è un fiore, c'è un fiore per tutti", ripeteva Gaetano Riina ai suoi, quasi volendo delineare un'etica del buon estorsore. Ovvero: i soldi vanno spartiti all'interno del clan, che ha diverse esigenze (soprattutto, il mantenimento dei carcerati) e chi paga il pizzo va protetto, avvantaggiato. Ma nel gennaio 2010 accadde l'imprevedibile: uno degli imprenditori che recapitava puntualmente la mazzetta ai corleonesi, Nicolò Romeo (della Alizoo), fu assassinato. Quell'agguato è ancora un mistero. Da qualche mese, però, si fa avanti un'ipotesi inquietante nelle indagini dei carabinieri: qualcuno avrebbe voluto sfidare i Riina nel loro stesso territorio. In cima alla lista dei sospettati ci sono alcuni rampanti boss di San Giuseppe Jato, che starebbero organizzando un nuovo potente clan in provincia. Forse, anche per questa ragione, i commercianti e gli imprenditori di Corleone continuano a pagare e a non denunciare. Probabilmente, non è solo il cognome Riina a fare paura.
(La Repubblica, 20 agosto 2011)

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