domenica, febbraio 20, 2011

Niccolò Turrisi Colonna, un cianciminiano ante litteram?

di Rosa Faragi
Niccolò Turrisi Colonna

Chi ha letto il libro “ Don Vito” ha avuto descritto uno spaccato politico-economico-sociale della Palermo dal dopoguerra fino ai primi anni 90 e l’intreccio di questa società con il potere mafioso. Tale descrizione è tanto più inquietante e perciò ancora più significativa, perché fatta da un testimone diretto, Massimo, figlio del protagonista del libro “Don Vito”, Ciancimino, ex sindaco di Palermo. Ma come spesso accade, la storia si ripete: un altro ex sindaco di Palermo fu sospettato di essere “colluso”con la mafia. Niccolò Turrisi Colonna, barone di Gorgo e Bonvicino, nacque a Palermo il 10.08.1817. Il padre Mauro, era un nobile dell’ultima ora, ma la madre, Rosalia Colonna, apparteneva ad una delle famiglie più nobili e prestigiose della Sicilia, quella dei duchi di Cesarò. Una delle due sorelle, Giuseppina, fu una valente poetessa, mentre l’altra, Annetta, fu una discreta pittrice. Grande proprietario terriero, esperto in agronomia, riuscì ad ammodernare le tecniche di produzione nelle sue aziende e non solo. Politicamente, fin da giovane, non nascose le sue simpatie unitarie. Nel 1860 partecipò attivamente alla “Spedizione dei mille”, reclutando “ i picciotti ” alla causa italiana. Fu a capo della Guardia Nazionale a Palermo, ed è in questa occasione che si consolida il suo rapporto con Antonino Giammona, già conosciuto durante le rivolte del 1848, tanto che lo nomina ufficiale della Guardia. Fin da allora, Giammona veniva considerato uno dei capi della mafia. Tale legame si consolidò col passare del tempo e Giammona potè godere dell’immunità di tale amicizia. Turrisi Colonna, dopo l’Unità di d’Italia, divenne un esponente di punta della sinistra moderata. Nel 1861 fu eletto deputato, nel 1865 senatore e nel 1881 sindaco di Palermo. Ricoprì, inoltre, la carica di presidente della Camera di Commercio e fondatore della società di Igiene di Palermo oltre che socio della Società Siciliana per la Storia Patria e dell’Accademia dei Georgofili di Firenze.
Nonostante questa prestigiosa carriera, non solo politica, sul suo nome si addensarono diversi sospetti. Il 30 giugno 1863 fu vittima di uno strano attentato, mentre rientrava in città, in località Olivuzza. Nel 1864 scrisse un phanflet sullo “Stato dell’ordine pubblico in Sicilia” dimostrando una conoscenza dell’organizzazione mafiosa che solo chi aveva fonti di prima mano poteva descrivere. Nel 1874 le Forze dell’Ordine fanno irruzione in una sua proprietà alla ricerca di latitanti ; tre suoi campieri vengono segnalati come mafiosi dalla sottoprefettura di Cefalù. La reazione del senatore non si fa attendere. Non soltanto affida ai suoi avvocati la difesa dei suoi campieri, ma sollecita il trasferimento del prefetto Rastrelli. Nel 1875 Giammona, accusato di reati mafiosi, riceve attestati di benemerenza dal senatore Turrisi Colonna e non solo…
Qualche anno dopo il presidente del Senato, Domenico Farini, rivelerà che due deputati, Morana e La Porta, gli confidarono che il Turrisi Colonna fosse in realtà il politico che, approfittando del suo ruolo, forniva una protezione ai vari esponenti mafiosi; inoltre, era l’uomo di raccordo tra una certa politica collusa e l’imprenditoria locale. Ancora oggi, alla domanda che Dino Paternostro pone ai suoi lettori nel giornale “La Sicilia “… se il Turrisi Colonna fosse nemico o protettore della mafia…”, non si è in grado di rispondere.

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